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Trasferimento di ramo d’azienda e tutela dei lavoratori: principi di diritto e indici di fatto della legittimità dell’esternalizzazione

11 Giugno 2024|

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 668 del 22 gennaio 2024, esamina, come già nel suo precedente del 29 marzo 2021, n. 2080 (con segnalazione di Canizzo, Senza la vera autonomia funzionale del ramo ceduto la sostituzione del datore di lavoro è nulla, in Quotidiano del Lavoro, 15 aprile 2021), il caso di un trasferimento di ramo d’azienda operato da una banca nei confronti di una società terza (non bancaria), con successiva stipulazione di un contratto di appalto di servizi tra le due realtà, cedente e cessionaria.

In entrambi i casi, il ricorso al Giudice del lavoro era stato presentato dai dipendenti ceduti, che ritenevano inapplicabile il dettato dell’art. 2112 c.c., stante l’assenza di un vero preesistente e autonomo ramo d’azienda oggetto di cessione: per l’effetto, i lavoratori rivendicavano la necessità del proprio previo consenso alla cessione individuale del rapporto, ai sensi dell’art. 1406 c.c.

Come noto, la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c., riformulato in piena ricezione della normativa comunitaria contenuta nella Direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, n. 2001/23/CE, prevede la tutela dei lavoratori nelle vicende circolatorie dell’azienda e, in particolare, il passaggio di tutti gli addetti ad un’azienda o ad un ramo di essa alle dipendenze del cessionario, senza soluzione di continuità del rapporto e con piena garanzia e conservazione dei diritti quesiti.

In altre parole, la previsione della norma speciale dell’art. 2112 c.c., che deroga alla norma generale di cui all’art. 1406 c.c. quanto all’ordinaria richiesta di consenso da parte del contraente ceduto, è stata posta a tutela del lavoratore stesso, prevedendo un automatismo nella cessione e nella continuità del rapporto che impedisca un impatto negativo in danno del dipendente in caso di mutamento degli assetti proprietari dell’azienda.

Vi sono, tuttavia, situazioni patologiche nelle quali l’applicazione dell’art. 2112 c.c., in luogo dell’art. 1406 c.c., si trasforma in un meccanismo elusivo delle tutele del lavoratore, provocando il suo automatico trasferimento, senza necessità di consenso, all’interno di una realtà imprenditoriale deteriore, alle dipendenze di un datore di lavoro che non fornisce le medesime garanzie e condizioni del precedente.

Oltre alla sentenza in commento e alla già menzionata Trib. Roma, 29 marzo 2021, n. 2080, cit., vi sono diverse altre pronunce che riguardano esattamente il caso di trasferimento di ramo d’azienda da una banca ad una società non bancaria, con successiva stipulazione di un contratto di appalto di servizi tra cedente e cessionario: appare chiaro che una simile operazione riveste un sicuro vantaggio per la banca cedente, che nei fatti può continuare ad avvalersi dell’attività del medesimo personale senza averlo alle proprie dipendenze e soprattutto senza dover applicare allo stesso la contrattazione collettiva del settore credito, che come noto prevede condizioni economiche e globali migliori della quasi totalità degli altri contratti collettivi.

Con le sentenze Cass., 16 marzo 2021, n. 7364, Cass., 5 luglio 2021, n. 18948, e Cass., 4 agosto 2021, n. 22249, la Suprema Corte si è occupata della medesima fattispecie, ripercorrendo i requisiti che, secondo la consolidata giurisprudenza italiana e eurounitaria, devono caratterizzare il ramo d’azienda che venga legittimamente reso oggetto di trasferimento con applicazione della disciplina di cui all’art. 2112 c.c. Presupposto fondamentale è certamente l’autonomia del ramo ceduto, che deve essere munito di una propria struttura imprenditoriale, ossia della capacità di perseguire ed ottenere un proprio scopo produttivo, idoneità che deve mantenersi intatta all’interno del vecchio e del nuovo contesto imprenditoriale di riferimento.

Come molto opportunamente rilevato, il requisito dell’autonomia funzionale di cui all’art. 2112 c.c. è in sostanza il medesimo richiesto dall’art. 29 d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, per l’individuazione dell’appaltatore genuino, contrapposto al mero somministratore di manodopera (Notaro, Trasferimento di ramo di azienda e contratti di esternalizzazione del lavoro, tra criteri sussuntivi e diritto vivente, in Labor, 13 ottobre 2021): in entrambi i casi, si richiede che il ramo d’azienda e l’appaltatore siano non delle realtà fittizie, create ad hoc unicamente per soddisfare l’interesse altrui (rispettivamente del cedente/cessionario e del committente), bensì genuine strutture imprenditoriali orientate ad un risultato e munite degli strumenti per perseguirlo in autonomia.

La giurisprudenza appena menzionata afferma espressamente che non sono certo escluse dalla nozione eurounitaria di genuino trasferimento di ramo d’azienda le unità d’impresa cd. leggere o dematerializzate, caratterizzate da una prevalenza dell’apporto dell’attività lavorativa su quello dei beni o strumenti oggetto di ipotetica cessione: tuttavia, in questo caso è comunque necessario verificare che «il gruppo dei lavoratori trasferiti sia dotato di un “comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche, tale che proprio in virtù di esse sia possibile fornire lo stesso servizio”, così “scongiurando operazioni di trasferimento che si traducano in una mera espulsione di personale, in quanto il ramo ceduto dev’essere dotato di effettive potenzialità commerciali che prescindano dalla struttura cedente dal quale viene estrapolato ed essere in grado di offrire sul mercato ad una platea indistinta di potenziali clienti quello specifico servizio per il quale è organizzato”» (Cass., 16 marzo 2021, n. 7364, cit., con ampia citazione di precedenti italiani ed eurounitari; Trib. Roma, 29 marzo 2021, n. 2080, cit., definisce il ramo genuinamente trasferibile come una “micro-azienda”).

Si precisa, a tale ultimo riguardo, che quanto appena esposto non significa che successivi interventi del cessionario sul ramo d’azienda acquisito rendano non genuina la cessione stessa per assenza di autonomia del ramo: tali interventi di inserimento del ramo nella struttura del cessionario sono infatti certamente legittimi, purché però non riguardino il nucleo del ramo stesso, la cui modifica risulti necessaria per l’assenza di autosufficienza delle risorse oggetto di trasferimento (Trib. Genova, 5 gennaio 2022, con segnalazione di Scofferi, Trasferimento di ramo d’azienda: le integrazioni che non incidono sul nucleo dell’attività non sono rilevanti, in Quotidiano del Lavoro, 13 gennaio 2022).

La seconda fondamentale caratteristica del ramo d’azienda genuinamente trasferibile, ugualmente sottolineata dalla pronuncia in commento, è la sua preesistenza rispetto all’operazione di trasferimento: a tal riguardo, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la modifica apportata dall’art. 32 d.lgs. 276/2003 al comma 4 dell’art. 2112 c.c., per cui si considera ramo d’azienda l’articolazione funzionalmente autonoma anche se «identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento» indica un potere meramente accertativo, e non creativo, dell’esistenza del ramo in capo agli imprenditori (Tesoro, Trasferimento di ramo d’azienda: autonomia funzionale e preesistenza, in Quotidiano del Lavoro, 26 marzo 2021). La lettura sistematica del comma 4, infatti, non può prescindere dall’utilizzo del termine “conservare” per indicare il rapporto tra il ramo d’azienda e la propria autonomia funzionale: se un ramo “conserva” la propria autonomia significa che ne era in possesso prima e deve rimanerne in possesso dopo e, pertanto, cedente e cessionario non possono che prendere atto di questa preesistente autonomia nell’identificazione del ramo (Cass., 14 settembre 2021, n. 24687; Cass., 14 settembre 2021, n. 24690).

Sulla base di questi principi, la giurisprudenza di legittimità ha indicato chiaramente ai Giudici di merito di valutare la genuinità o meno dell’operazione di trasferimento di ramo d’azienda ai fini dell’art. 2112 c.c. tenendo conto del «complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione di cui trattasi» (Cass., 16 marzo 2021, n. 7364, cit.).

La sentenza in commento ha fatto certamente buon governo di tale ultima indicazione della Suprema Corte, svolgendo una disamina dettagliata e articolata di tutti i singoli elementi di fatto portati dalle parti (in particolare dai ricorrenti) a descrizione e ricostruzione dell’operazione di trasferimento avvenuta.

Il Tribunale di Roma ha così tenuto in considerazione e valutato l’avvenuto trasferimento di alcune singole unità organizzative, dalle quali erano stati previamente trasferiti alcuni dipendenti e in particolare i rispettivi responsabili; l’assenza di trasferimento di beni, quali software, programmi e altri strumenti informatici pure dematerializzati, rimasti nella disponibilità della banca cedente; l’immediata stipulazione di un contratto di appalto tra cedente e cessionaria, avente ad oggetto le medesime attività prima svolte dalle articolazioni cedute e dai dipendenti ivi addetti all’interno della banca; il costante e indispensabile rapporto, funzionale e financo gerarchico, tra i lavoratori trasferiti, dipendenti del cessionario, e i responsabili rimasti nella banca cedente; la fornitura da parte della banca cedente ai dipendenti ceduti sia della formazione (obbligatoria) sia del supporto di manutenzione e assistenza; l’assenza di attività, clientela, rapporti afferenti al ramo ceduto che fossero diversi dalla fornitura di servizi in favore della banca cedente.

Sulla base dell’esame di questi elementi di fatto, il Giudice ha ritenuto che il gruppo di lavoratori trasferiti non potesse considerarsi come un’articolazione funzionalmente autonoma della banca, preesistente al trasferimento e idonea, prima e dopo la cessione, a perseguire un proprio scopo imprenditoriale apprezzabile, ma fosse qualificabile come un gruppo eterogeneo di soggetti, accomunati unicamente dalla volontà espulsiva manifestata nei loro confronti dal cedente. Ma, statuisce opportunamente il Tribunale di Roma, risulta dall’ordinamento nazionale ed euronitario certamente «preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità cioè al ramo di azienda già costituito.».

Per l’effetto, nella pronuncia in commento il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso dei lavoratori ceduti e, dichiarata l’operazione di trasferimento del (asserito) ramo d’azienda priva dei presupposti di cui all’art. 2112 c.c. e dunque configurabile come mera illegittima sostituzione del datore di lavoro senza il consenso dei dipendenti, ne ha statuito l’inefficacia nei confronti dei lavoratori, con ripristino funzionale ed economico del loro rapporto alle dipendenze della banca cedente.

In chiusura, è interessante mettere la sentenza in commento a confronto con altre due sentenze di merito di analogo contenuto, Trib. Lodi, 1° giugno 2022 e Trib. Busto Arsizio, 15 febbraio 2022: le due pronunce, in modo speculare al provvedimento del Tribunale di Roma, hanno esaminato il caso in cui un supermercato, a mezzo del trasferimento di (asseriti) rami d’azienda corrispondenti a singoli reparti interni, aveva di fatto svuotato la propria struttura originaria, escludendo dal trasferimento alcuni lavoratori che, rimasti alle dipendenze dell’impresa cedente, si erano trovati di fatto privi di prospettive di continuità occupazionale.

In questo caso, dunque, obiettivo dei lavoratori ricorrenti non era il ripristino del rapporto con il cedente, bensì viceversa il riconoscimento del diritto alla continuazione del rapporto con il cessionario, essendo stata fallace l’individuazione delle articolazioni oggetto di trasferimento che aveva condotto alla loro esclusione dal novero dei dipendenti addetti a tali articolazioni.

Pertanto, specularmente alla pronuncia in commento, i Giudici hanno ritenuto che le operazioni di trasferimento avessero illegittimamente individuato dei “rami”, essendo stata in realtà ceduta l’intera azienda, con diritto di tutti i lavoratori addetti alla continuità del rapporto alle dipendenze del cessionario ex art. 2112 c.c.

Appare chiaro, dalla giurisprudenza consolidata e dall’applicazione dei principi di diritto effettuata dalle sentenze di merito sulle situazioni concrete, il rigore con cui i Giudici esaminano dal punto di vista giuslavoristico le fattispecie di circolazione dell’azienda, per evitare che, in vari modi e con diverse vicende, tali operazioni circolatorie possano trasformarsi in azioni indebite e illegittime sulla gestione della forza lavoro.

Sabrina Grivet Fetà, dottore di ricerca e avvocato specialista in diritto del lavoro in Reggio Emilia

Visualizza il documento: Trib. Roma, 22 gennaio 2024, n. 668

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