Tra mercato, rapporto di agenzia e derogabilità del patto di non concorrenza
3 Novembre 2024|La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento (ordinanza 29 agosto 2024, n. 23331), è intervenuta in materia di mercato e di patti di non concorrenza. Essa si è pronunciata sul requisito dell’onerosità del patto di non concorrenza nell’ambito di un rapporto di agenzia, previsto dall’art. 1751 bis c.c.
In base alla predetta disposizione, l’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale. Essa è affidata alla contrattazione tra le parti tenuto conto degli accordi economici nazionali di categoria, da commisurarsi alla durata, non superiore a due anni dopo l’estinzione del contratto, alla natura del contratto di agenzia e all’indennità di fine rapporto.
Secondo l’interpretazione della Corte del citato art. 1751 bis c.c. introdotto dall’art. 23 L. 422/2000, il patto di non concorrenza può anche non essere specificamente remunerato, in quanto il requisito dell’onerosità è derogabile dalle parti del rapporto di agenzia.
La corresponsione di una indennità all’agente commerciale non è prevista, dunque, a pena di nullità del patto di non concorrenza: l’agente, d’intesa con la preponente, può pertanto espressamente stabilire che all’obbligo assunto non sia correlato un corrispettivo, atteso che la non specifica valorizzazione economica dell’impegno può giustificarsi come conveniente nel contesto dell’intero rapporto di agenzia (A. Zoppini, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in RDC, 2008, I, 516).
Gli artt. 2125 e 2596 c.c. delimitano due campi di disciplina del patto di non concorrenza tra loro antitetici quanto all’elemento dell’onerosità: ciò che è richiesto a pena di nullità ai sensi dell’art. 2125 non lo è invece agli effetti dell’art. 2596.
Non si tratta dell’unica differenza: nell’art. 2596 i limiti di zona e attività, pur formalmente alternativi, incontrano solo il limite di formule generiche o onnicomprensive, impeditive di ogni attività professionale (secondo la formula usata dall’art. 2557,2º c., c.c.); nell’art. 2125 l’oggetto e il luogo si cumulano e la loro valutazione congiunta serve a tutelare la possibilità del lavoratore di ricollocarsi sul mercato impiegando il proprio bagaglio professionale, secondo un criterio di contemperamento degli opposti interessi. Si afferma anche che, rispetto all’art. 2596, la portata dell’oggetto e del luogo nell’art. 2125 ha natura “differenziale”; riguarda la stessa attività del datore di lavoro, non attività analoghe o affini (W. Bigiavi, La piccola impresa, Giuffrè, 1947, 91 ss.).
Questi due campi di disciplina dovrebbero corrispondere, dal punto di vista della qualificazione del soggetto obbligato, a ciò che sta entro il perimetro del lavoro subordinato e a ciò che ne sta fuori: tendenzialmente, ma non solo, nel campo dell’impresa (L. Delli Priscoli, La portata giuridica del patto di non concorrenza di cui all’art. 2596 c.c., in Giur. Comm, 2004, 3, 382).
Nell’art. 2596 c.c. la libertà di impresa è riconosciuta, pur entro certi limiti, come disponibile anche senza corrispettivo, supponendo che il sinallagma che giustifica il sacrificio sia insito nella valutazione di interesse che le parti ne fanno; non così la libertà di cedere la propria forza lavoro, che è sì disponibile, ma solo a titolo oneroso. Si può dire che l’art. 2125 c.c. sanziona l’assenza o l’inadeguatezza del corrispettivo con una nullità di protezione ante litteram, posta nell’interesse di una sola parte del rapporto.
La norma sostituisce il precedente divieto legislativo (art. 8 r.d. 13.11.24 n. 1825, legge sull’impiego privato) e si pone in continuazione dell’obbligo di fedeltà, che vincola il dipendente durante la vigenza del rapporto.
Così che, accanto ad una funzione di difesa avanzata da condotte di concorrenza sleale dell’ex dipendente e quindi di tutela del patrimonio dell’impresa, se ne può intravvedere un’altra, di fidelizzazione del lavoratore, che limita, già durante il rapporto, la libertà di scelta del lavoro, a fronte di un di più che la giurisprudenza ha talora ritenuto adeguato quando solo non fosse meramente simbolico, o manifestamente iniquo o sproporzionato.
Questo può spiegare la disattenzione della legge sul tempo della percezione del corrispettivo (a differenza di quanto previsto per gli agenti di commercio dal più recente art. 1751 bis c.c.) e la prassi, tutt’ora in uso, di corrisponderlo per tutto il rapporto, di fatto come un superminimo in busta paga, introducendo per un verso un elemento di aleatorietà, difficilmente compatibile con la necessità della determinazione ex ante del corrispettivo; consentendo per altro verso che il patto operi a vantaggio anche di chi per ipotesi non risolva mai il rapporto di lavoro, ovvero assicuri un maggior vantaggio a chi permanga più a lungo alle dipendenze del datore di lavoro, pur a fronte della medesima obbligazione di non fare. Il riconoscimento di un sotteso effetto di fidelizzazione spiega anche lo sfavore con cui si guarda alla facoltà di recesso e al patto di opzione stipulati in favore del datore di lavoro.
Il caso ha origine da un ricorso presentato da un lavoratore che contestava la decisione della Corte d’Appello di Trieste, la quale aveva confermato la sentenza di primo grado. In primo luogo, il Tribunale aveva respinto la richiesta del lavoratore di ricevere l’indennità per il patto di non concorrenza solo al termine del rapporto di lavoro, accettando invece la posizione della società datrice di lavoro che aveva optato per una liquidazione anticipata dell’importo, legandolo alle provvigioni.
Si è statuito che se l’indennità per non concorrenza è derogabile nell’an, essa possa essere a fortiori derogata anche nel quomodo ovvero nella modalità di liquidazione e di pagamento della relativa indennità (ed erogata attraverso un compenso di natura provvigionale, con anticipi in corso di rapporto, salvo conguaglio finale).
La Corte d’appello di Trieste, in particolare, aveva rigettato l’appello proposto dall’istante avverso la sentenza del tribunale. Il giudice di prime cure aveva respinto la domanda con cui chiedeva il pagamento dell’indennità per patto di non concorrenza post contrattuale di durata biennale a seguito delle dimissioni dell’1 luglio 2020, dovutagli ai sensi dell’articolo 1751 bis c.c. Il tribunale aveva invece accolto la domanda riconvenzionale proposta dalla S.p.A., osservando che l’indennità per il patto di non concorrenza fosse stata legittimamente quantificata in percentuale rispetto alle provvigioni maturate e pagata congiuntamente a queste, salvo successivo conguaglio, non essendo ciò vietato da alcuna norma imperativa.
La Corte d’appello ha ribadito che era infondato il gravame proposto dal ricorrente, secondo cui l’indennità per il patto di non concorrenza post contrattuale doveva essere corrisposta separatamente dalle provvigioni ed al termine del rapporto di agenzia. Secondo la Corte d’appello si trattava di una tesi non supportata né del tenore letterale delle norme, né della loro finalità. Ciò si rilevava sulla base della circostanza per cui l’articolo 1751 bis c.c. sarebbe preposto alla tutela di interessi pubblici di carattere generale.
La sentenza in analisi prende le mosse da quanto affermato dalla Corte di cassazione nn. 12127/2015 e 13706/2017; la querelle era volta a determinare la possibilità delle parti di derogare alla naturale onerosità del patto di non concorrenza, tanto più si doveva ritenere che fosse loro consentito di regolare diversamente le modalità di liquidazione e di pagamento della relativa indennità. Contro la sentenza il dipendente ha proposto ricorso per cassazione ai quali ha resistito la società con controricorso.
Si deduceva la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 1751 bis c.c., ex articolo 360 numero 3 e numero 5 c.p.c.: la Corte d’appello avrebbe omesso di applicare la norma citata laddove prevede che l’accettazione del patto di non concorrenza comporta in occasione della cessazione del rapporto la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale a fronte della corresponsione in corso di rapporto da parte della società convenuta di anticipi a titolo invece provvigionale (A. Russo, Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale. Profili giuridici, Giuffrè, 2004, 144).
La previsione contrattuale del contratto concluso in data 1/4/2012, in cui si prevedeva che una percentuale della indennità fosse già ricompresa nei compensi provvigionali di spettanza dell’agente, era, quindi, nulla; essa era, in particolare, contraria alla previsione di cui all’articolo 1751 bis c.c., che la Corte d’appello di Trieste aveva omesso di dichiarare.
La parte ricorrente sosteneva la violazione e falsa applicazione dell’articolo 14 dell’AEC Settore Industria laddove si prevedeva che, a fronte del patto di non concorrenza post contrattuale, l’agente o rappresentante operante in forma individuale o di società di persone o di società di capitali con un unico socio, avrebbe avuto diritto a una specifica indennità di natura non provvigionale, laddove, invece, nel corso del rapporto al soggetto tenuto all’obbligo di non concorrenza. erano stati corrisposti da parte della società convenuta solo anticipi a titolo provvigionale.
Di particolare interesse dogmatico è l’iter motivazionale della Corte di Cassazione. I motivi di ricorso, tuttavia secondo i giudici, sono però infondati; secondo quanto statuito nella sentenza impugnata, la tesi sulla derogabilità delle previsioni in materia di compenso per patto di non concorrenza risulta conforme all’ordinamento.
Si veda tuttavia la posizione espressa da G. Pera in una voce attinente in generale alla libertà di professione: G. Pera, Professione (libertà di), Enc dir, 1040; si veda anche P. Fabris, Il patto di non concorrenza, Giuffrè, 1976, 43, A. Boscati, Patto di non concorrenza. Art. 2125, Comm Sch, 2010. Vedasi anche P. Ichino, Il contratto di lavoro, III, Tratt CM, 2003, 306.
La Corte di Cassazione prende le mosse da un orientamento di legittimità che ha riconosciuto la derogabilità della previsione dell’art. 1751 bis c.c. con cui il legislatore italiano, senza che ciò fosse necessitato dalla disciplina comunitaria in materia, ha stabilito che, a decorrere dall’1 giugno 2001, l’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale, indicando i parametri cui l’indennità va commisurata, affidando la sua determinazione alla contrattazione tra le parti (tenuto conto degli accordi economici nazionali di categoria) e prevedendo che in difetto di accordo l’indennità venga determinata in via equitativa dal giudice.
La Corte di Cassazione aderisce all’orientamento giurisprudenziale cristallizzato dalla sentenza della Cass. n. 12127/2015: secondo tale ricostruzione, sulla base di una lettura estensiva dell’art. 1751 bis c.c., comma 2, la corresponsione di una indennità all’agente commerciale non sarebbe prevista a pena di nullità del patto di non concorrenza post contrattuale; l’agente, d’intesa con la preponente, può espressamente stabilire che all’obbligo assunto non sia correlato un corrispettivo, atteso che la non specifica valorizzazione economica dell’impegno può giustificarsi come conveniente nel contesto dell’intero rapporto di agenzia.
Dunque, anche nel vigore della nuova disciplina, secondo la sentenza in commento, la naturale onerosità del patto di non concorrenza non è inderogabile, in quanto non presidiata da una sanzione di nullità espressa e non diretta alla tutela di un interesse pubblico generale (V. Pagliaro, Il patto di non concorrenza del prestatore di lavoro, in RDI, 1960, 218).
Sulla scorta di tale assunto, secondo i giudici di legittimità, discenderebbe la derogabilità della disciplina del patto di non concorrenza ad opera delle parti e l’inesistenza della nullità della denunciata clausola contrattuale che ha previsto la liquidazione anticipata di un’indennità di natura provvigionale.
Si è statuito quindi che se l’indennità per non concorrenza è derogabile nell’an, essa possa essere, a fortiori, derogata anche nel quomodo ovvero nella modalità di liquidazione e di pagamento della relativa indennità (ed erogata attraverso un compenso di natura provvigionale, con anticipi in corso di rapporto, salvo conguaglio finale).
Non sarebbe ravvisabile la nullità della clausola contrattuale che ha previsto la liquidazione anticipata di un’indennità di natura provvigionale, in deroga alla previsione di legge.
Pertanto, non potrebbe essere accolta la ricostruzione dell’appellante: si sosteneva che l’indennità per patto di non concorrenza dovesse essere corrisposta separatamente dalle provvigioni e non sottoforma di una quota di queste, avendo appunto natura non provvigionale, ed al termine del rapporto di agenzia e non in anticipo, salvo conguaglio finale (M. Persiani, Diritto privato e diritto del lavoro, in ADL, 2009, 947 ss.).
La Corte di Cassazione ha affrontato la querelle sulla derogabilità del patto di non concorrenza, confermando la legittimità della clausola contrattuale in questione. Il pagamento anticipato dell’indennità, anche quando associato alle provvigioni, è stato ritenuto valido e conforme alle normative vigenti. Questa decisione rappresenta un importante sviluppo, poiché offre alle aziende la possibilità di strutturare in modo più flessibile gli accordi con i dipendenti, anticipando i pagamenti e garantendo allo stesso tempo il rispetto del patto di non concorrenza (E. Bonasi Benucci, Esclusiva (patto di), Enc dir, XV, 380; T. Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Giuffrè, 1960; G.B. Ferri, Esclusiva (patti di), in NDI, 689).
Giuseppe Maria Marsico, dottorando di ricerca in diritto privato e dell’economia e funzionario giuridico-economico-finanziario
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