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Sulle mansioni superiori svolte di fatto: l’evolversi della contrattazione collettiva

18 Luglio 2024|

Premessa

L’art. 52, rubricato” Disciplina delle mansioni”, statuisce che “1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’articolo 35, comma 1, lettera a). L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione”.

Le mansioni superiori possono, esclusivamente per obiettive esigenze di servizio, essere legittimamente conferite solamente in una delle seguenti due ipotesi specifiche (art.52, comma 2):

1. nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, ma non si siano ancora concluse;

2. nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell’assenza per ferie, per la durata dell’assenza (in questo caso non esiste alcun limite temporale all’assegnazione a mansioni superiori).

Non è sufficiente la mera circostanza della vacanza del posto in organico, ovvero l’assenza di altro dipendente: è necessario che da tale circostanza derivi una oggettiva (e quindi controllabile) esigenza organizzativa da soddisfare con lo spostamento temporaneo del dipendente a mansioni superiori.

Il comma 4 riconosce al lavoratore adibito a mansioni” immediatamente” superiori il diritto al “trattamento previsto per la qualifica superiore”, stabilendo che, per l’ipotesi in cui ciò sia determinato dalla vacanza del posto in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.

Tuttavia, affinché al dipendente pubblico possa essere riconosciuto il trattamento economico previsto per la qualifica superiore, per tutta la durata dell’assegnazione, deve ricorrere anche la condizione prevista dal comma 3, secondo cui “si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni”.

 Mansioni superiori di fatto

Qualora l’assegnazione a mansioni superiori non rispetti le condizioni poste dall’art. 52, comma 2, l’assegnazione è nulla, fermo restando la corresponsione della differenza del “trattamento economico” con la qualifica superiore; rientra in questa ipotesi anche l’assegnazione a mansione non immediatamente superiore, quale condizione di applicabilità dell’art.52, comma 2.

Il comma 5 dell’art.52 specifica che “Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore”.

Le due ipotesi di validità e nullità dell’assegnazione implicano un trattamento retributivo per la prima ipotesi e indennitario per la seconda che si fonda su una assegnazione affetta da nullità.

E’ ormai pacifico nell’esegesi giurisprudenziale il diritto del dipendente che abbia svolto di fatto le mansioni superiori ad ottenere dalla pubblica amministrazione il pagamento del corrispondente trattamento economico: l’assegnazione temporanea del lavoratore a mansioni al di fuori dei presupposti e dei limiti temporali fissati dalla legge è nulla e seppure vi sia una responsabilità del funzionario che l’ha consentita, resta il diritto “pro-tempore” ad una retribuzione corrispondente al maggior impegno svolto di fatto.

La Corte Costituzionale, con sentenza 31 marzo 1995, n. 101, ha affermato  che ”la spettanza al lavoratore del trattamento retributivo corrispondente alle funzioni di fatto espletate” è un precetto “la cui applicabilità all’impiego pubblico non può essere messa in discussione”; la previsione dell’irrilevanza ai fini dell’inquadramento dell’esercizio di fatto delle mansioni superiori di cui al comma 1 andrebbe letta in riferimento alla acquisizione definitiva della superiore qualifica e non al trattamento economico per il periodo di effettivo svolgimento di tali compiti.

L’ art.52 espressamente delimita la configurabilità dello svolgimento di fatto di mansioni superiori al caso in cui dette mansioni – corrispondenti al superiore livello retributivo – siano state svolte in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale.

È altresì necessario che, in relazione ai compiti espletati, il lavoratore abbia assunto la relativa responsabilità: quindi, non è sufficiente il semplice svolgimento di qualche compito ascrivibile ad una categoria superiore.

La Cassazione ha affermato che” lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica – anche non immediatamente – superiore a quella di inquadramento formale comporta, in forza del disposto dell’art.52, comma 5, d.lgs. del 30 marzo 2001, n. 165, il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore ove i compiti siano stati svolti in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale e, dunque ove le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni (Cass. SS.UU 25837/2007; n. 27887/2009, n. 30811/2018, 9646/2019)”.

Detta connotazione quantitativa e qualitativa, da accertarsi rigorosamente per la stessa ratio legis, deve essere specificatamente dimostrata dal lavoratore (cfr. sin da Cass. n. 10027/2007).

Sicché non soltanto il ricorrente, nel caso di siffatta domanda, ha l’onere di dimostrare che le mansioni svolte appartengano alla superiore qualifica a mente della contrattazione collettiva di riferimento, ma anche che tali mansioni superiori siano state espletate con continuità e prevalenza e che delle stesse gli fosse attribuita la piena responsabilità.

Quindi la prevalenza in termini temporali e quali-quantitativi, deve essere accompagnata anche dall’esercizio di poteri e dall’assunzione di responsabilità che derivano dall’esercizio delle funzioni specifiche, aspetti che devono essere attentamente valutati dal giudice di merito; il giudice di merito deve procedere a una penetrante ricognizione di tutto il contenuto delle mansioni svolte e all’esame delle declaratorie generali delle categorie di inquadramento coinvolte nella controversia e dei profili professionali pertinenti.

Nelle ipotesi di violazione dell’art.52 a causa dell’illegittima condotta del dirigente il maggior onere economico che l’Amministrazione deve sopportare è imputabile personalmente al dirigente che ha disposto l’assegnazione, ove questi abbia agito con dolo o colpa grave: il mancato avviamento delle procedure volte alla copertura dei posti vacanti, con conseguente esplicita violazione della legge, potrebbe essere considerata una delle tipiche situazioni di dolo o colpa grave nei confronti della quale il dirigente può essere chiamato a rispondere.

La Corte di Cassazione-Sezione Lavoro, con ordinanza n. 2275/2021 e n. 2478/2021, ha statuito che l’impiegato pubblico cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte Costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., che deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere(in tal senso S.U. n. 25837/2007; 23 febbraio 2009, n. 4367).

Per la Cassazione il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art.36 della Costituzione(n. 19812 del 2016; n.18808 del 2013), sicché il diritto va escluso solo qualora l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolente collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento(n. 24266 del 2016; v. pure n. 30811 del 2018).

L’ordinanza della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione n. 16149 dell’11 giugno 2024

Con la pronuncia in commento, riferita ad un caso di svolgimento di mansioni superiori di fatto da parte di una lavoratrice dell’Inps, la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso dell’Istituto di Previdenza, dopo aver premesso che, ai fini della verifica dello svolgimento di mansioni superiori, il giudice è tradizionalmente chiamato ad un’operazione di sussunzione su base c.d. trifasica, data: 1)dalla verifica delle caratteristiche dell’inquadramento posseduto;2) dalle caratteristiche del livello in ragione del quale è calibrata la domanda;3)dal raffronto delle une e delle altre con le attività in concreto svolte(tra le altre, Cass., ordinanza n. 30580 del 22/11/2019;  Cass., sentenza n. 18943 del 27/09/2016) – ha ribadito che, nell’effettuare detto giudizio, il giudice deve individuare la contrattazione collettiva rilevante in relazione a tutto il periodo lavorativo che viene in rilievo ai fini della domanda, contrattazione collettiva nazionale che, nell’impiego pubblico contrattualizzato, è sempre conoscibile ex officio dal giudice, secondo il principio iura novit curia , anche a prescindere dall’iniziativa di parte(Cass. ordinanza n. 7641 del 09/03/2022; ordinanza n. 6394 del 05/03/2019).

Da ciò consegue, secondo il Collegio di legittimità, che, in relazione ad una controversia riguardante lo svolgimento di mansioni superiori nel pubblico impiego, una volta dedotte, dal lavoratore, le mansioni svolte, nonché il comparto ed il livello di inquadramento, è dovere del giudice porre a raffronto tali dati con la contrattazione applicabile al fine di verificare la fondatezza dell’assunto attoreo, non assumendo rilievo l’erronea indicazione di un contratto collettivo non più applicabile al periodo oggetto di causa (Cass., ordinanza n. 7641 del 2022 e le successive ordinanze n. 21788 e n. 20843 del 2023, richiamate ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., ed alle quali il Collegio di legittimità ha  inteso dare continuità).

Nella pronuncia de qua si legge che la Corte ha chiarito che il CCCNL  del 1.10.2007 (CCNL 2006/2009) per il personale non dirigenziale del comparto enti pubblici non economici, di immediata efficacia, ha previsto un nuovo sistema di inquadramento nel quale tutte le mansioni all’interno della medesima area sono considerate professionalmente equivalenti e costituisce esercizio di mansioni superiori solo lo svolgimento di mansioni proprie dell’area immediatamente superiore (pronunce n. 29624/2019 e n. 21485/2020, alle cui motivazioni è stato fatto richiamo anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.).

Rispetto al CCNL 2006/2009, viene ricordato nell’ordinanza che si annota, che la Corte ha, inoltre, escluso la sussistenza di intangibili situazioni quesite, in quanto il diritto alle differenze retributive per l’esercizio di fatto di mansioni superiori matura di tempo in tempo in ragione della situazione di fatto e diritto esistente anche nella sua evoluzione storica.

La Corte ha altresì escluso, si legge sempre nella pronuncia annotata, che possa parlarsi di adeguatezza della retribuzione – in ipotesi ai sensi dell’art. 36 Cost. ­- o di sua irriducibilità, considerato inoltre che gli equilibri economici tra mansioni esigibili e retribuzioni di pertinenza, specie nel pubblico impiego, sono rimessi integralmente alla contrattazione collettiva, la cui evoluzione non si presta a censure di merito, né tanto meno ad argomentazioni di inadeguatezza quantitativa in realtà finalizzate ad assicurare trattamenti non più dovuti secondo l’evolversi giuridico ed economico dell’assetto negoziale, né rileva l’inammissibilità per denuncia irrituale di violazione di legge con riferimento alla contrattazione integrativa, essendo il  ricorso fondato sulla base dell’assetto del CCNL(v., in proposito, Cass. n. 11000/2023).

La decisione impugnata, conclude la Cassazione, aveva omesso sia di considerare l’evolversi della contrattazione collettiva sia di esaminare le attività svolte dalla lavoratrice alla luce del mutamento negoziale-giuridico intervenuto con il CCNL 2006-2009.

Dionisio Serra, cultore di diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 11 giugno 2024, n. 16149

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