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Sulla rilevanza disciplinare dell’attività privata parallela a quella istituzionale svolta da un medico pubblico

31 Maggio 2024|

Sulla base degli atti di una indagine penale, che aveva coinvolto molti medici del tarantino, per aver predisposto, al fine di consentire indennizzi di compagnie assicuratrici, relazioni medico legali diagnostiche false, ed in particolare sulla base del contenuto dell’ordinanza cautelare del GIP di Taranto, l’ASL  aveva contestato ad un  proprio dipendente, con la qualifica di primario ortopedico: a) la violazione dell’obbligo di comunicare tempestivamente l’esercizio dell’azione penale nei suoi confronti; b) la commissione di illeciti di rilevanza penale; c) l’esercizio di attività professionale in violazione del regime di esclusività.

Il successivo licenziamento (con preavviso di dodici mesi) gli era stato irrogato, in relazione alla terza contestazione, e cioè per aver svolto attività professionale presso una struttura privata, quindi per il conflitto di interesse ovvero la concorrenza sleale derivati.

Il Tribunale di Taranto, che era stato adito dal lavoratore, aveva respinto il ricorso ritenendo che la contestazione era sufficientemente specifica perché integrata per relationem, che non sussisteva alcuna ipotesi di modifica della contestazione da parte del provvedimento sanzionatorio e che non vi era alcuna sproporzione tra l’illecito contestato e la sanzione.

La Corte d’appello di Lecce, successivamente, rigettava il gravame proposto dal lavoratore avverso la sentenza del Tribunale di Taranto.

La Corte territoriale riteneva specifica la contestazione, escludeva che fosse stato violato il principio della immutabilità della contestazione e quello della proporzionalità della sanzione rispetto alla condotta contestata, e riteneva che il comportamento del medico fosse lesivo dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 cod.civ. tanto più esigibile in considerazione della qualifica dirigenziale del lavoratore, del connesso elevato grado di affidamento, della reiterazione della condotta e dell’elemento psicologico qualificabile in termini quantomeno di colpa grave.

La Corte d’Appello considerava, comunque, irrilevanti gli elementi in contrario evidenziati dal lavoratore, come l’assenza di procedimenti disciplinari ovvero le capacità dirigenziali, che non potevano prevalere sul disvalore del comportamento posto a base del licenziamento; rilevava, inoltre, che la prospettata mancanza di un pregiudizio per l’ASL fosse smentita dalla corresponsione dell’indennità di esclusività.

Veniva, quindi, proposto, da parte del primario ortopedico in questione, ricorso (affidato due motivi) per la cassazione della sentenza di appello: il lavoratore, innanzi alla Corte di Cassazione, sosteneva di non aver avuto contezza, in sede di contestazione disciplinare, di tutti i fatti poi oggetto del provvedimento espulsivo con conseguente violazione della necessaria correlazione tra contestazione e sanzione oltre che della proporzionalità di quest’ultima.

Con sentenza n. 12973 del 13 maggio 2024, che qui si segnala, la Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, per violazione del principio di specificità prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., e per la contemporanea deduzione di violazione di norme di diritto nonché di vizi di motivazione.

Quanto all’immutabilità della contestazione, gli Ermellini, con la sentenza che si annota, ci ricordano  che, in tema di procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, la valutazione in ordine alla specificità della contestazione deve essere compiuta verificando se la stessa offra le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare i fatti addebitati, prescindendo dai rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo penale e valorizzando l’idoneità dell’atto a soddisfare il diritto di difesa dell’incolpato (cfr. ex multis, Cass.1° ottobre 2018, n. 23771).

Nel caso in esame, si legge nella pronuncia de qua, il fatto storico contestato non ha subito alcuna modificazione in corso di procedimento, in considerazione del fatto che la sanzione irrogata è la conseguenza della contestata attività privata parallela a quella istituzionale, cui il medico era tenuto in regime di esclusività.

Per il Collegio di legittimità, la Corte territoriale ha comunque formulato un giudizio valoriale di gravità delle condotte addebitate al medico e di proporzionalità della sanzione espulsiva, operando la sussunzione della condotta come ricostruita in fatto nell’ambito dell’illecito disciplinare contestato.

Nella sentenza de qua viene ricordato che, come affermato, da Cass. 21 agosto 2018, n. 20880, il medico legato ad una pubblica amministrazione da rapporto di impiego a tempo indeterminato, in relazione a detto rapporto ed agli obblighi che dallo stesso scaturiscono, è tenuto al rispetto dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, che richiama il regime delle incompatibilità ed il divieto di cumulo di cui al D.P.R. n.3/1957.

I giudici di legittimità ricordano, inoltre, l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione (richiamato di recente da Cass. 10 aprile 2023, n. 10236) secondo cui le nozioni legali di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo richiedono, al pari di ogni altra clausola generale, di essere specificate in via interpretativa, allo scopo di adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel tempo.

E’ stato evidenziato, in particolare, che il giudizio espresso sulla gravità dell’infrazione ai fini della sussunzione nelle ipotesi legali di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, in quanto fondato su norme di legge che si limitano ad indicare un parametro generale di contenuto elastico, presuppone un’attività di interpretazione giuridica delle norme stesse, attraverso la quale si dà concretezza alla parte mobile delle disposizioni per adeguarle ad un determinato contesto storico-sociale. Detto giudizio di valore svolge una funzione integrativa delle regole giuridiche e, quindi, è soggetto al controllo della Corte di Cassazione, perché le specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge.

Il discrimine tra giudizio di fatto e giudizio di diritto, prosegue il Collegio, va, dunque, individuato tenendo conto della distinzione “tra ricostruzione storica (assoggettata ad un mero giudizio di fatto) e giudizi di valore, sicché ogniqualvolta un giudizio apparentemente di fatto si risolva, in realtà, in un giudizio di valore, si è in presenza d’una interpretazione di diritto, in quanto tale attratta nella sfera d’azione della Corte Suprema” (Cass. 14 marzo 2013, n. 6501).

Gli Ermellini evidenziano che la Corte territoriale, dopo avere correttamente affermato che la violazione dell’obbligo di esclusiva può giustificare la risoluzione del rapporto ai sensi dell’art. 72, comma 4, della legge n. 448/1998, ferma restando la violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 cod. civ., ha espresso il giudizio sulla gravità dell’inadempimento valutando gli aspetti oggettivi e soggettivi della condotta (elevato grado di affidamento, reiterazione del comportamento, elemento psicologico), ed a fronte di detta valutazione il ricorrente, richiamando una disposizione pattizia relativa ad una situazione fattuale diversa da quella oggetto di contestazione, ha in realtà criticato il risultato dell’attività ricostruttiva, che si pone sul piano del giudizio di fatto, nella specie non sindacabile neppure nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. per la preclusione posta dall’art.348 ter cod. proc. civ.

Del tutto irrilevanti, concludono i giudici di legittimità, sono, poi, le considerazioni del ricorrente, circa il tempo di preavviso (dodici mesi), asseritamente troppo lungo per essere considerato venuto meno il rapporto di fiducia e circa l’avvenuta riassunzione del medesimo con contratto a tempo determinato, trattandosi di fatti esterni alla valutazione della gravità della condotta ai fini della risoluzione (con preavviso) del rapporto.

Dionisio Serra, cultore di diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

Visualizza il documento: Cass., 13 maggio 2024, n. 12973

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