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Sulla mancata fruizione delle ferie da parte dei docenti a tempo determinato durante il periodo di sospensione delle lezioni

1 Giugno 2024|

Con ordinanza n. 13440 del 15 maggio 2024, la Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, che qui si segnala, ha affermato che il docente a tempo determinato che non ha chiesto di fruire delle ferie durante il periodo di sospensione delle lezioni ha diritto all’indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo inutilmente inviato a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie e alla indennità sostitutiva, in quanto la normativa interna – , e , in particolare, l’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012, come integrato dall’art. 1, comma 55, della legge n. 228 del 2012 – deve essere interpretata in senso conforme all’art. 7, par.2, della direttiva 2003/88/CE, che, secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia, Grande Sezione (con sentenze del 6 novembre 2018 in cause riunite C-569/16 e C-570/16, e in cause C-619/16 e C-684/16), non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e dell’indennità sostitutiva, senza la previa verifica che il lavoratore, mediante una informazione adeguata, sia stato posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare effettivamente il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro.

Quindi, per la Cassazione il docente a termine non può perdere il diritto alla indennità sostitutiva delle ferie per il solo fatto di non averle chieste, se non dopo essere stato invitato dal datore di lavoro a goderne, con espresso avviso della perdita in caso diverso, del diritto alle ferie ed alla indennità sostitutiva.

Degli insegnanti a tempo determinato nell’ anno scolastico 2012/2013 fino al 30 giugno 2013 avevano convenuto il MIUR per sentire accertare il loro diritto al pagamento delle ferie non godute.

Tale ricorso veniva accolto dal Tribunale di Reggio Emilia.

Successivamente, il MIUR proponeva appello assieme all’Ufficio scolastico regionale dell’Emilia Romagna.

L’appello veniva accolto dalla Corte d’appello di Bologna.

Gli insegnanti, quindi, proponevano ricorso per cassazione, contestando la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 CCNL Scuola del 29 novembre 2007 e la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 8, d.l. n.95 del 2012, come modificato dalla legge n. 228 del 2012; esse sostenevano che la corte territoriale non avrebbe tenuto conto che i loro contratti a tempo determinato erano scaduti il 30 giugno 2013, con la conseguenza che non avrebbero avuto la possibilità di godere delle ferie, pur avendole accumulate ai sensi degli artt.13 e 19 del CCNL Scuola.

In buona sostanza, la sentenza di appello avrebbe errato nell’affermare che la normativa dettata dal d.l. n.95 del 2012 avrebbe determinato l’azzeramento delle ferie residue al 31 dicembre 2012, così impedendone la monetizzazione; in realtà, il diritto a ricevere l’indennità in esame sarebbe sorto al momento della cessazione del rapporto di lavoro (il 30 giugno 2013); pertanto, era a questa data che avrebbe dovuto essere valutata l’esistenza di una norma preclusiva del pagamento delle ferie maturate e non godute; l’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012 avrebbe già cessato di avere effetto nei confronti dei docenti a tempo determinato dal 1 gennaio 2013, ai sensi dell’art. 1, comma 55, della legge n. 228 del 2012.

La Cassazione, accogliendo due dei tre motivi di ricorso, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, applicando il principio di diritto di cui sopra.

La pronuncia della Cassazione ci dà lo spunto per svolgere qualche osservazione su questo tema.

L’art. 5, comma 8, del D.L.6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012, n.135, ha stabilito che ”Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale (….) sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi”.

Questa disposizione ha portata generale, poiché riguarda tutte le Amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della P.A. e tutte le categorie di personale, ad ordinamento privatistico e pubblicistico, e la sua “ratio” è evidentemente tesa al contenimento  della spesa pubblica.

La Corte Costituzionale, con sentenza 6 maggio 2016 n. 95, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95(convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135), in riferimento agli artt. 3, 36, commi primo e terzo, e 117, primo comma, Cost., in quanto vieterebbe, nell’ambito del lavoro pubblico, di corrispondere trattamenti economici sostitutivi delle ferie non godute anche quando la mancata fruizione non sia imputabile alla volontà del lavoratore, ha affermato che la norma introdotta dal legislatore si prefigge di reprimere il ricorso incontrollato alla “monetizzazione” delle ferie non godute, contrastandone gli abusi, e di “riaffermare la preminenza del godimento effettivo delle ferie, per incentivare una razionale programmazione del periodo feriale e favorire comportamenti virtuosi delle parti del rapporto di lavoro, senza arrecare pregiudizio al lavoratore incolpevole”.

La Consulta ha, altresì, richiamato la giurisprudenza di legittimità, ordinaria e amministrativa, che riconosce al lavoratore il diritto ad un’indennità per le ferie non godute per causa a lui non imputabile, anche quando difetti un’esplicita previsione negoziale in tal senso, ovvero quando la normativa settoriale formuli  il divieto di “monetizzazione”; ha affermato che il diritto inderogabile sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore.

Il legislatore ha, inoltre, previsto che la norma de quo si applichi anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età: a tale stringente disposizione ha fatto anche immediato seguito l’abrogazione delle disposizioni legislative e contrattuali che consentivano la monetizzazione delle ferie non godute senza contemplare eccezioni e senza prevedere un periodo transitorio.

Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con parere n. 40033 dell’8.10.2012, ha fatto presente che gli specifici casi di cessazione interessati dal divieto di monetizzazione sono quelli in cui il lavoratore “concorre in modo attivo alla conclusione del rapporto di lavoro, mediante il compimento di atti”, quale è appunto l’esercizio del proprio diritto di recesso, mentre rimangono fuori dal divieto i vari casi indipendenti dalla volontà del lavoratore e dalla capacità organizzativa del datore, quali ad esempio il decesso, la malattia, l’infortunio ed il congedo obbligatorio per maternità.

Nello stesso anno 2012, il legislatore è nuovamente intervenuto – con l’art. 1, commi da 54 a 56, della legge n. 228 del 2012 -, dettando una disciplina speciale delle ferie per il personale della scuola, modellata su quella già prevista dall’art. 13, comma 9, CCNL Scuola 2006/2009: in base  al comma 54 del detto art. 1, il personale docente – senza alcuna distinzione tra docenti a termine e docenti a tempo indeterminato – fruisce delle ferie nei giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali, ad esclusione di quelli destinati agli scrutini, agli esami di Stato e alle attività valutative.

Durante la rimanente parte dell’anno la fruizione delle ferie è consentita per un periodo non superiore a sei giornate lavorative, subordinatamente alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvale senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica; il successivo comma 55 ha aggiunto un ultimo periodo all’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012, precisando che la sua disciplina non si applica al personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario supplente breve e saltuario o docente con contratto fino al termine delle lezioni o delle attività didattiche, limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie: la previsione non riguarda, dunque, il personale con supplenza annuale(fino al 31 agosto); da ultimo, il comma 56 dello stesso art. 1, ha disposto che la disciplina dei commi 54 e 55 non può essere derogata dai contratti collettivi nazionali di lavoro e che le clausole contrattuali contrastanti sono disapplicate dal 1 settembre 2013.

La giurisprudenza europea ha ribadito, più volte, che, laddove un lavoratore non abbia potuto esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite prima della cessazione del rapporto di lavoro, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, egli ha diritto a un’indennità finanziaria ai sensi dell’art.7 della direttiva del 4 novembre 2003 n. 2003/88/CE: il giudice europeo ha precisato che l’art. 7, par. 1, della direttiva 2003/88/CE non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che comprenda finanche la perdita del diritto alle ferie allo scadere del periodo di riferimento (o di un periodo di riporto), purché, però, il lavoratore che non ha più diritto alle ferie annuali retribuite abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare questo diritto; il datore di lavoro deve, per contro, assicurarsi che il lavoratore sia messo in condizione di esercitare tale diritto; a questo fine, egli è segnatamente tenuto ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo – se necessario formalmente – a farlo, e, nel contempo, informandolo – in modo accurato e in tempo utile a garantire che le ferie in esame siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, siffatte ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o, ancora, alla cessazione del rapporto di lavoro, se quest’ultima si verifica nel corso di un simile periodo; inoltre, l’onere della prova, in proposito, incombe al datore di lavoro.

Dionisio Serra, cultore di diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 15 maggio 2024, n. 13440

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