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Sul principio di immediatezza della contestazione disciplinare

4 Giugno 2024|

La Corte d’Appello di Catanzaro confermava la decisione resa dal Tribunale di Cosenza e rigettava la domanda proposta nei confronti del Ministero dell’Istruzione e del Merito da un proprio dipendente, con la qualifica di assistente tecnico amministrativo, per la declaratoria di illegittimità del licenziamento, intimatogli, all’esito del procedimento disciplinare avviato in relazione all’arresto del medesimo in flagranza di reato ed all’esercizio a suo carico dell’azione penale, sospeso (con l’atto di contestazione degli addebiti) e poi ripreso a seguito della comunicazione dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

La decisione della Corte territoriale discendeva dall’aver questa ritenuto priva di fondamento la tesi del lavoratore per cui il procedimento disciplinare attivato e sospeso si era di fatto concluso per avere l’amministrazione riammesso in servizio il dipendente, finanche stipulando il contratto di lavoro a tempo indeterminato, così dimostrando di aver ritenuto il fatto contestato privo di rilievo disciplinare e di aver condiviso la ricostruzione della vicenda operata dal primo giudice.

Il Tribunale di Cosenza aveva affermato che il Ministero, legittimamente avvalendosi a suo tempo della facoltà di sospensione dell’avviato procedimento disciplinare, aveva applicato l’art. 55 ter, commi 1 e 4, d.lgs. n. 165/2001, vigente fino al 21.6.2017, tempestivamente riaprendo il procedimento stesso a seguito della comunicazione del passaggio in giudicato della sentenza di condanna; il dipendente era stato licenziato essendo stata ravvisata l’idoneità lesiva del vincolo fiduciario da riconoscersi in relazione alla spiccata gravità della condotta addebitata nella sua materialità e per l’evidente pregiudizio derivante all’immagine dell’amministrazione scolastica.

Il lavoratore in questione promuoveva, successivamente, ricorso in Cassazione, imputando alla Corte territoriale sia di essersi pronunziata in spregio al principio di immediatezza della contestazione disciplinare e senza tener conto di circostanze quali la riammissione in servizio dopo la sospensione del procedimento disciplinare a seguito dell’originaria contestazione e la sottoscrizione del contratto di lavoro a tempo indeterminato nonché la conoscenza della sentenza di condanna di primo grado, poi confermata in appello, che valevano a fondare con il decorso del tempo l’affidamento del ricorrente sulla rinuncia del datore dall’intento sanzionatorio, sia l’incongruità logica e giuridica del giudizio circa la sussistenza della giusta causa di recesso e la proporzionalità dell’irrogata massima sanzione in relazione alla mancata considerazione dell’assenza di qualsiasi pregiudizio nell’esecuzione, sempre corretta e diligente, della prestazione lavorativa, tanto più considerato l’impiego in mansioni che escludono la presenza di minori, l’epoca risalente della condotta criminosa, la permanenza medio tempore del rapporto.

La Sezione Lavoro della Cassazione, con sentenza n. 13633 del 16 maggio 2024, che qui si segnala, ha dichiarato inammissibile il ricorso: per gli Ermellini, tutti gli esposti motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, per ricondursi tutti alla riproposizione della tesi per cui, per avere l’amministrazione riammesso in servizio il ricorrente finanche stipulando il contratto di lavoro a tempo indeterminato, il procedimento disciplinare poteva ritenersi concluso, si rivelano inammissibili, non cogliendo la ratio decidendi, fondata sulla legittima sospensione dell’originario procedimento disciplinare, sull’altrettanto legittima riapertura di quel procedimento, sull’essere stato il medesimo correttamente definito sul piano formale con la tempestiva irrogazione della sanzione disciplinare ed anche sul piano sostanziale risultando il giudizio sulla proporzionalità della sanzione fondato sulla verifica dell’incidenza lesiva della condotta extralavorativa sul vincolo fiduciario sotto il profilo della gravità del fatto materiale e della coerenza con gli interessi morali e l’immagine dell’Amministrazione datrice.

La sentenza da noi esaminata, ci consente di evidenziare che, in tema di immediatezza della contestazione disciplinare, la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 16706/2018) ha precisato che” ai fini della decorrenza del termine perentorio previsto per la contestazione dell’addebito dall’art 55 bis, comma 4, d.lgs. n. 165/2001, assume rilievo esclusivamente il momento in cui l’ufficio competente abbia acquisito una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire allo stesso di dare, in modo corretto, l’avvio del procedimento mediante la contestazione, la quale può essere ritenuta tardiva solo se l’Amministrazione rimanga ingiustificatamente inerte, pur essendo in possesso degli elementi necessari per procedere, sicché il suddetto termine non può decorrere a fronte di una notizia che, per la sua genericità, non consenta la formulazione dell’incolpazione e richieda accertamenti di carattere preliminare volti ad acquisire i dati preliminari per circostanziare l’addebito”.

La Corte di Cassazione  ha anche precisato  che nel caso in cui  il dipendente  sia destinatario di più addebiti  per fatti che singolarmente valutati non siano idonei a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, il termine per la conclusione del procedimento disciplinare deve considerarsi rispettato se il dies a quo decorre dal momento in cui la condotta  complessivamente addebitata può considerarsi  definita e dunque la condotta assume connotati tali da integrare l’infrazione disciplinare oggetto del procedimento(Cass. 4 maggio 2021 n. 11635).

Sempre la Cassazione, 24 agosto 2021 n. 23332 (in Labor, www.rivistalabor.it, 8 settembre 2021, con nota di POSO, Nel procedimento disciplinare è (quasi) tutto relativo in presenza di un termine per la contestazione degli addebiti non espressamente dichiarato perentorio che decorre dalla effettiva conoscenza del fatto commesso), richiamando  precedenti in termini aveva chiarito che ”L’immediatezza è un concetto relativo , nel senso che la valutazione di essa deve tener conto della complessità del fatto e degli accertamenti  nonché della complessità della struttura  organizzativa  dell’impresa datrice di lavoro  perché è sempre ammissibile  un lasso temporale più o meno lungo  liberamente valutabile dal giudice, tra la conoscenza del fatto e l’avvio della procedura disciplinare: tale ultima valutazione , si ripete, che, al di fuori dei casi di pretesa lesione  del diritto di difesa, in quanto di merito –  deve ritenersi  incensurabile in sede di legittimità”.

Il principio di proporzionalità, di cui pure nella sentenza in questione si parla,  vincola il datore pubblico  ad una applicazione graduata delle sanzioni in relazione agli illeciti commessi: il principale svolgimento del canone di proporzionalità si rinviene nei contratti collettivi, ove, oltre alla articolazione delle sanzioni in relazione alle infrazioni individuate dal codice disciplinare in scala di progressiva gravità, i CCNL forniscono criteri generali per l’applicazione proporzionata della sanzione, sì da favorire al meglio l’adattamento al caso concreto della risposta sanzionatoria.

La legge prevede che nel caso di annullamento della sanzione disciplinare  per difetto di proporzionalità, il giudice può rideterminare  la sanzione , in applicazione  delle disposizioni  normative  e contrattuali vigenti, tenendo conto  della gravità del comportamento  e dello specifico interesse pubblico violato (art.63, comma 2-bis, TU): deve ritenersi che la rideterminazione da parte del Giudice , pur tenendo conto della gravità del comportamento e dello specifico interesse pubblico violato, non possa che avvenire in via di riduzione della sanzione disciplinare originariamente applicata dall’amministrazione datore di lavoro.

Occorre, infine, ricordare, perché anche di tale questione di occupa la sentenza qui annotata, che il procedimento disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è di regola proseguito e concluso, anche in pendenza del procedimento penale.

La sua sospensione, debitamente motivata, è ammessa per le infrazioni per le quali è applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio  con privazione della retribuzione per un periodo fino a dieci giorni e questo fino al termine del procedimento penale qualora l’UPD(Ufficio per i procedimenti disciplinari) abbia a trattare casi di particolare complessità o non disponga all’esito dell’istruttoria di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, salva sempre la possibilità di adottare la sospensione o altri strumenti cautelari nei confronti del dipendente.

La novella del Ministro Brunetta, anche prima del d.lgs. n. 75 del 2017, ha imposto dunque dal 2009, come regola, la non sospensione dell’azione disciplinare per la pendenza di procedimento penale (anche per fatti privati che possano avere valenza disciplinare) e, come eccezione (ma solo per fatti sanzionabili con misure superiori alla sospensione fino a 10 gg.) la sospensione non più obbligatoria, ma facoltativa, del procedimento disciplinare in attesa delle risultanze penali, ma solo qualora gli accertamenti istruttori disciplinari si palesassero complessi e (avente, a nostro avviso, natura disgiuntiva e non cumulativa) le risultanze istruttorie amministrative siano (incolpevolmente) laconiche (così TENORE, in Studio sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego, Giuffrè, 2021, pagg. 541542).

Il procedimento disciplinare è riaperto se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa.

Dionisio Serra, cultore di diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”

Visualizza il documento: Cass., 16 maggio 2024, n. 13633

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