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Ricorso reiterato alla somministrazione in violazione dei principi eurounitari e costituzione di un rapporto di lavoro subordinato tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore

17 Aprile 2025|

I fatti di causa e la fase di merito

La Corte d’Appello di Milano ha respinto l’appello della società qui interessata e confermato la pronuncia di primo grado che, accogliendo la domanda di due lavoratori, aveva dichiarato la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato e tempo indeterminato tra le parti, a decorrere dal 14 luglio 2018.

La decisione di primo grado era caratterizzata dal presupposto dell’illegittimità dei contratti di somministrazione a tempo determinato, sottoscritti con l’agenzia di lavoro, e delle relative proroghe per superamento del limite massimo di 24 mesi previsto dall’art. 19, d.lgs. 81/2015, come modificato dal decreto legge 87/2018, “decreto dignità”, cui rinvia l’art. 34, comma 2, dello stesso decreto legislativo, oltre che per difetto delle esigenze legittimanti il superamento del termine di dodici mesi, ai sensi del novellato art. 19, comma 1.

Il Tribunale aveva, inoltre, condannato la società al pagamento dell’indennità di cui all’art. 32 , della legge n. 183/2010 , liquidata nella misura di otto mensilità della retribuzione globale di fatto.

La Corte territoriale ha interpretato l’art. 1 , comma 2, del decreto-legge 87/2018  (secondo cui “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data”) nel senso che, ai fini del computo del tetto dei 24 mesi, dovesse tenersi conto anche dei contratti e delle proroghe o rinnovi conclusi prima dell’entrata in vigore del decreto legge, di cui altrimenti sarebbe vanificata la ratio, consentendosi di fatto rapporti di somministrazione a tempo determinato di durata superiore perfino al precedente limite dei 36 mesi.

La stessa Corte ha escluso che tale interpretazione comportasse un’applicazione retroattiva della legge sopravvenuta avendo il Tribunale dichiarato costituito il rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data da luglio 2018, sul rilievo di illegittimità dei contratti prorogati o conclusi sotto il vigore della nuova normativa; ha giudicato infondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla società poiché dall’illegittimità dei contratti di somministrazione a termine discende la conversione del rapporto a tempo indeterminato in capo all’effettivo utilizzatore della prestazione.

Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. I due lavoratori hanno resistito con controricorso.

Il giudizio di legittimità e la sentenza n. 5332 del 28 febbraio 2025

Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 19  del D.Lgs. 81/2015  per avere la Corte d’Appello ritenuto applicabile al rapporto di somministrazione che riguardava i signori A.A. e B.B. il limite di durata di 24 mesi, di cui all’art. 19  del D.Lgs. 81/2015 , come modificato dal decreto-legge 87/2018 , convertito dalla legge 97/2018 .

Osserva, in particolare, la ricorrente che il D.Lgs. 81/2015 , nel testo originario, non fissava alcun tetto di durata massima ai contratti di somministrazione di lavoro a termine. L’unico limite temporale previsto era quello di 36 mesi in caso di successione tra contratti di lavoro a termine e contratti di somministrazione a termine, ma nulla era sancito per il caso di successione di soli contratti di somministrazione a tempo determinato. Non solo, per questi ultimi non era neppure imposto l’obbligo di indicazione delle causali giustificative dell’apposizione del termine.

La ricorrente aggiunge che il decreto-legge 87/2018 , entrato in vigore il 14 luglio 2018 (rectius, 12.7.2018), ha (tra l’altro) esteso la disciplina (come modificata) dei contratti a termine ai contratti di somministrazione di lavoro a termine (eccetto le disposizioni di cui agli artt. 21, 23 e 24) ma afferma che tale estensione riguarda il rapporto tra l’agenzia di somministrazione e il lavoratore e non il distinto rapporto commerciale di somministrazione tra l’agenzia per il lavoro e l’azienda utilizzatrice, che sarebbe rimasto libero da qualsiasi limite di durata. Sostiene che, per quanto concerne le imprese utilizzatrici, il limite di 24 mesi opera esclusivamente nell’ipotesi in cui quest’ultima impieghi il medesimo lavoratore con una successione di contratti a termine e di somministrazione a termine.

Il primo motivo di ricorso è stato dichiarato inammissibile in quanto pone la questione dell’inapplicabilità al rapporto di somministrazione dei lavoratori interessati del limite di durata di 24 mesi, di cui all’art. 19  del D.Lgs. 81/2015 , come modificato dal decreto-legge 87/2018 , convertito dalla legge 97/2018 , sebbene tale questione non sia stata sollevata dinanzi alla Corte d’Appello.

A prescindere dalla vincolatività, anche per il contratto di somministrazione a termine, del limite di durata di 24 mesi introdotto dal decreto-legge n. 87/2018 , questione inammissibilmente posta col ricorso di legittimità e che involge l’interpretazione dell’art. 2, comma 1 ter, della legge di conversione n. 96/2018 , su cui si registrano divergenti opinioni dottrinali, deve, comunque, ribadirsi, in accordo con i precedenti di legittimità (sentenze n. 22861 del 2022; n. 23531 del 2022; n. 23499 del 2022, n. 23497 del 2022) concernenti la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 81/2015 , prima delle modifiche introdotte dal decreto-legge 87/2018 , che il requisito della temporaneità della somministrazione, cioè delle missioni presso lo stesso datore di lavoro, è implicito e immanente all’istituto in esame, secondo una interpretazione conforme al diritto dell’Unione.

Nei precedenti citati la Suprema Corte ha richiamato quanto osservato dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 14 ottobre 2020, JH c. KG, C-681/2018 (punto 61) e nella successiva sentenza del 17 marzo 2022, Daimler AG, Mercedes-Benz Werk Berlin, C-232/20 (punti 31, 34), da cui emerge come il termine “temporaneamente” adoperato nella direttiva 2008/104  caratterizza non il posto di lavoro che deve essere occupato all’interno dell’impresa utilizzatrice, bensì le modalità della messa a disposizione di un lavoratore presso tale impresa.

È il rapporto di lavoro con un’impresa utilizzatrice ad avere, per sua natura, carattere temporaneo. Se è vero, in base a quanto detto, che le disposizioni della direttiva 2008/104  non impongono agli Stati membri l’adozione di una determinata normativa in materia, resta il fatto che, come ricordato dalla Corte di Giustizia, l’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, impone agli Stati membri, in termini chiari, precisi ed incondizionati, di adottare le misure necessarie per prevenire l’assegnazione di missioni successive a un lavoratore tramite agenzia interinale aventi lo scopo di eludere le disposizioni di tale direttiva nel suo insieme. Ciò comporta che gli Stati membri debbano adoperarsi affinché il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente per un lavoratore tramite agenzia interinale (v. Corte di Giustizia, C-681/18 cit., punti 55, 60).

Nel caso di specie, la Corte di merito, sul presupposto della vincolatività del limite legale dei 24 mesi, ha ritenuto tale tetto operante per i contratti successivi al 14.7.2018 (rectius 12.7.2018) e per le proroghe e rinnovi di contratti in corso a quella data, ciò in base alla norma transitoria dettata dall’art. 1 , comma 2, decreto-legge 86/2018, nel testo anteriore alla modifica apportata dalla legge di conversione che ha fatto slittare il termine, per le proroghe e rinnovi, al 31 ottobre 2018. In particolare, la sentenza d’appello ha accertato che dopo il 12 luglio 2018 la società ha proseguito nei rapporti prorogati e poi ne ha posto in essere di nuovi”.

Al fine di verificare il rispetto o meno del tetto di 24 mesi, i giudici di appello hanno tenuto conto anche dei contratti legittimamente stipulati in epoca anteriore al decreto-legge 87/2018 .

Ciò in accordo con i principi espressi da questa S.C. nella sentenza n. 22861 del 2022  cit., secondo cui “In tema di successione di contratti di lavoro in somministrazione a termine, ove l’impugnazione stragiudiziale venga rivolta solo nei confronti dell’ultimo contratto della serie, il giudicato sull’intervenuta decadenza dall’impugnativa dei contratti precedenti non preclude l’accertamento dell’abusiva reiterazione, atteso che la vicenda contrattuale, pur insuscettibile di poter costituire fonte di azione diretta nei confronti dell’utilizzatore per la intervenuta decadenza, può rilevare come antecedente storico che entra a far parte di una sequenza di rapporti, valutabile, in via incidentale, dal giudice, al fine di verificare se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione degli obiettivi della Direttiva 2008/104 , come interpretata dalla Corte di Giustizia con sentenze del 14 ottobre 2020 in causa C-681/18 e del 17 marzo 2022 in causa C-232/20”.

Con specifico riferimento alla disciplina transitoria, la lettura adottata dai giudici di appello si impone quale effetto di una interpretazione conforme alla luce della sentenza della sentenza CGUE del 17.3.2022, nella causa C 232/20, N.P. c. Daimler AG, Mercedes-Benz Werk Berlin che, proprio in tema di disciplina transitoria, ha statuito al punto 3): “La direttiva 2008/104  deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale che stabilisce una durata massima di messa a disposizione del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice, nell’ipotesi in cui tale normativa escluda, mediante una disposizione transitoria, ai fini del calcolo di tale durata, il computo dei periodi precedenti l’entrata in vigore di una siffatta normativa, non consentendo al giudice nazionale di prendere in considerazione la durata effettiva della messa a disposizione di un lavoratore tramite agenzia interinale al fine di determinare se tale messa a disposizione abbia avuto luogo “temporaneamente”, ai sensi di tale direttiva, circostanza che spetta a detto giudice determinare”.

Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti concernente l’intervenuta contestazione della durata complessiva, per oltre 24 mesi, del rapporto di lavoro a termine tra la agenzia di lavoro e i lavoratori e della corrispondente somministrazione a termine dei predetti in favore della società utilizzatrice. La società (rimasta contumace in primo grado) allega di avere ampiamente contestato nel ricorso in appello la durata complessiva del rapporto di somministrazione indicata dai lavoratori e di aver dedotto, in base ai documenti allegati dai ricorrenti in primo grado, che il rapporto del primo lavoratore con l’agenzia era durato complessivamente 700 giorni, corrispondenti a 23,3 mesi e il rapporto del secondo lavoratore era durato complessivamente 253 giorni, corrispondenti a 8,43 mesi.

La ricorrente addebita alla Corte d’Appello l’errata applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115  cod. proc. civ., sottolineando come la contumacia della società in primo grado non potesse assumere alcuna valenza probatoria favorevole per la parte costituita, rendendo anzi più rigoroso l’onere di prova di quest’ultima.

Il secondo motivo di ricorso viene dichiarato inammissibile per più profili, attinenti a una asserita violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione ad una dichiarata contestazione, nel giudizio di appello di specifiche allegazioni avversarie sulla durata complessiva del rapporto di lavoro, senza tenere conto della assorbente considerazione della contumacia della società nel giudizio di primo grado.

Sotto altro profilo si palesa un altro punto di inammissibilità, perché il motivo mal si confronta con la ratio decidendi della decisione impugnata, in relazione alla fase istruttoria di accertamento della cronologia di tutti i contratti e una ulteriore censura verso il motivo stesso nella parte in cui critica, in riferimento all’art. 360, n. 5 del codice di rito, la valutazione delle risultanze istruttorie (documentazione prodotta dai lavoratori) compiuta dai giudici di appello data la preclusione imposta dalla disciplina della cd. doppia conforme.

Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 38 , D.Lgs. 81/2015  per avere la Corte d’Appello ritenuto che dal superamento della (asserita) durata massima di 24 mesi dei contratti di somministrazione e/o dalla mancata apposizione della causale potesse conseguire la costituzione ex tunc di un rapporto di lavoro subordinato in capo all’utilizzatore. La società espone che l’art. 38 del citato decreto legislativo, nel riscrivere la fattispecie della somministrazione irregolare, ha previsto alcune ipotesi tassative al ricorrere delle quali il lavoratore ha diritto di chiedere la costituzione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore; che tali ipotesi tassative, individuate come violazione “dei limiti e delle condizioni di cui agli artt. 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lett. a), b), c), d)”, non comprendono la violazione dell’art. 34, comma 2, novellato; che è pertanto viziata la sentenza d’appello nella parte in cui ha disposto la costituzione dei rapporti di lavoro in capo alla società ed ha condannato la stessa al pagamento dell’indennità risarcitoria.

La Corte d’Appello fonda la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore sull’art. 34  D.Lgs. 81/2015 , come modificato dal cd. decreto dignità, che estende al lavoro somministrato le norme del capo III, ora interamente richiamato con la sola “esclusione delle disposizioni di cui agli articoli 21, comma 2, 23 e 24”. Tra le norme del capo III, a cui fa espresso rinvio l’art. 34, secondo comma, è compreso l’articolo 19 nella sua interezza ed anche, quindi, nel secondo comma, ultimo periodo, ai sensi del quale “qualora il limite dei ventiquattro mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento”.

Occorre tuttavia rilevare che l’art. 34, secondo comma, contempla unicamente il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore. Non solo, l’art. 38 , D.Lgs. 81 del 2015 , deputato a disciplinare le ipotesi tassative di “somministrazione irregolare” e non modificato dal decreto-legge dignità, contempla la facoltà del lavoratore di agire nei confronti dell’utilizzatore solo nei casi in cui la somministrazione avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) d), senza alcun richiamo, neanche indiretto ai limiti e alle condizioni di cui all’art. 19, comma 1, novellato.

Appare dirimente, anche in tal caso, il richiamo dei precedenti di legittimità della Suprema Corte (sentenze n. 22861 del 2022; n. 23531 del 2022; n. 23499 del 2022, n. 23497 del 2022) che, nell’esaminare l’art. 38  del D.Lgs. n. 81/2015 , nel testo originario e tuttora vigente, considerato il requisito di temporaneità come immanente alla somministrazione di lavoro, hanno individuato la possibilità di una interpretazione conforme delle disposizioni nazionali in grado di garantire l’effetto utile alle disposizioni del diritto dell’Unione facendo leva sulle previsioni di diritto interno che disciplinano gli effetti di condotte elusive di norme imperative, e tra queste l’art. 1344  cod. civ., in combinato disposto con l’art. 1418  cod. civ.

Nei precedenti richiamati si è statuito che: “… l’obbligo imposto agli Stati membri dall’art. 5, par. 5, prima frase, di adottare le misure necessarie per impedire il ricorso abusivo ad una successione di missioni di lavoro tramite agenzia interinale, in contrasto con le finalità della Direttiva, è chiaro, preciso e incondizionato. Posto che l’art. 5, par. 5, cit. non può essere direttamente invocato dal lavoratore in rapporti orizzontali, cioè tra soggetti privati, la possibilità di una interpretazione conforme delle disposizioni nazionali in grado di garantire l’effetto utile alle disposizioni del diritto dell’Unione deve basarsi anche sulle disposizioni interne che disciplinano gli effetti di condotte elusive di norme imperative, e tra queste l’art. 1344  cod. civ., in combinato disposto con l’art. 1418  cod. civ.

Non vi è dubbio che le disposizioni della Direttiva assumano carattere di norme precettive e che le stesse, come interpretate dalla Corte di Giustizia con le citate sentenze del 2020 e del 2022, contemplino quale requisito immanente e strutturale del lavoro tramite agenzia interinale la temporaneità della prestazione presso l’utilizzatore, intesa nel senso di durata complessiva delle missioni per un tempo che possa ragionevolmente considerarsi temporaneo, tenuto conto anche delle caratteristiche del settore produttivo.

Già in passato la Suprema Corte, nell’interpretare le disposizioni di cui alla legge n. 196 del 1997  in materia di fornitura di lavoro temporaneo, ha avuto modo di affermare che, poiché la regola della temporaneità dell’occasione di lavoro connota la disciplina del rapporto di lavoro interinale di cui alla citata legge, deve configurarsi un’ipotesi di contratto in frode alla legge allorché la reiterazione dei contratti interinali costituisca il mezzo, anche attraverso intese, esplicite o implicite, tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice concernenti la medesima persona del prestatore, per eludere la regola della temporaneità (v. in tal senso Cass. n. 7702 del 2018 ; Cass. n. 23684 del 2010 ; Cass. n. 15515 del 2009 ; v. anche Cass. n. 13982 del 2022  riferita all’art. 36  del D.Lgs. n. 165 del 2001).

Inoltre l’art. 1344  c.c. è già stato evocato come strumento utile per evitare che, attraverso ripetute assunzioni a tempo determinato, sia possibile porre in essere una condotta che integri una frode alla legge, e quindi quale misura adeguata e idonea a prevenire abusi nel susseguirsi di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, affidando al giudice del merito il compito di desumere da “elementi quali il numero dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati, l’arco temporale complessivo in cui si sono succeduti e ogni altra circostanza fattuale che emerga dagli atti, l’uso deviato e fraudolento del contratto a termine” (v. Cass. n. 59 del 2015 ; Cass. n. 14828 del 2018).

Nella fattispecie oggetto di causa, la sentenza d’appello contiene un accertamento in fatto non solo sull’avvenuto superamento del limite di 24 mesi, in epoca successiva all’entrata in vigore del decreto-legge 87/2018 , ma anche sul carattere elusivo della reiterazione dei contratti, finalizzata unicamente ad aggirare il requisito della temporaneità.

Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 34 , D.Lgs. 81/2015  (nel testo anteriore al decreto-legge 87/2018 ), dell’art. 2 , comma 1, del decreto-legge 87/2018 , come modificato dalla legge 96/2018 , nonché degli artt. 19  e 34  del D.Lgs. 81/2015 , nel testo risultante dalle modifiche di cui alla legge 96/2018 .

La società censura la sentenza d’appello per l’integrale disapplicazione del regime transitorio introdotto dalla legge 96/2018 , che esclude dalla sfera di disciplina del cd. decreto dignità, in particolare quanto al limite massimo di durata di 24 mesi e all’onere di apposizione della causale, le proroghe e i rinnovi dei contratti a termine intervenuti dal 14 luglio al 31 ottobre 2018.

Il quarto motivo di ricorso, che investe la disciplina transitoria, è stato dichiarato inammissibile per difetto di specificità perché non indica in alcun modo quali contratti, quali proroghe e rinnovi e in quali date sarebbero stati conclusi.

La sentenza d’appello è giunta ad una decisione di merito conforme ai principi di diritto enunciati dalla S.C., dovendosi unicamente correggere la motivazione in diritto, ai sensi dell’art. 384 , ultimo comma c.p.c., nel senso della declaratoria di nullità del contratto di somministrazione per elusione di norme imperative in punto di temporaneità della somministrazione, confermandosi le rimanenti statuizioni di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in capo alla società utilizzatrice e condanna della stessa al risarcimento del danno, come già liquidato.

Sull’argomento può richiamarsi P. Dui, Ricorso esasperato alla somministrazione di lavoro, abuso del tipo e frode alla legge, in www.rivistalabor.it, 18 maggio 2024, commento a Cass. 6898/2024, dove si è ritenuto che le missioni successive assegnate al medesimo lavoratore tramite agenzia presso la stessa impresa utilizzatrice possano eludere l’essenza stessa delle disposizioni della direttiva 2008/104 e possano costituire un abuso di tale forma di rapporto di lavoro, in quanto idonee a compromettere l’equilibrio realizzato da tale direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest’ultima, specialmente quando non viene fornita alcuna spiegazione al fatto che un’impresa utilizzatrice ricorra a tale successione di contratti.

Pasquale Dui, avvocato in Milano e professore a contratto nell’università degli Studi di Milano-Bicocca

Visualizza il documento: Cass., 28 febbraio 2025, n. 5332

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