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Ricorso esasperato alla somministrazione di lavoro, abuso del tipo e frode alla legge

18 Maggio 2024|

La vicenda di merito e il caso di specie

Il lavoratore interessato dalla vicenda con il ricorso introduttivo del primo grado aveva chiesto l’accertamento della natura fraudolenta e simulata della somministrazione tra le parti con conseguente nullità dei contratti a termine siglati (dal 12.7.2007 al 24.11.2014) e diritto alla costituzione di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con la somministratrice e l’utilizzatore, in via gradata. Chiedeva altresì, oltre alle retribuzioni pregresse maturate dalla data della messa in mora, il risarcimento del danno nella misura massima stabilita dall’art. 32, comma 5, della legge 183/2010. In via gradata, chiedeva poi di accertare il diritto del ricorrente alla conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato per superamento dei 36 mesi di lavoro complessivi, ai sensi degli artt. 1 e 5, comma 4 bis, d.lgs. 368/2001, allora applicabile alla fattispecie.

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile.

Per quanto qui interessa, il Tribunale aveva rilevato che, alla data di impugnazione stragiudiziale del ricorrente, effettuata con raccomandata del 29.1.2016, era ormai ampiamente spirato il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 32, legge 183/2010, decorrente dalla scadenza dell’ultimo contratto di somministrazione, risalente al 24.11.2014.

La Corte territoriale, successivamente, riteneva infondato l’appello del lavoratore sull’assunto che correttamente il Tribunale aveva ritenuto applicabile alla fattispecie il termine di decadenza di cui al citato art. 32, comma 4, lett. d), il quale concerne tutte le tipologie in senso lato interpositorie e, dunque, sia nell’ipotesi di somministrazione irregolare, sia nell’ipotesi di somministrazione nulla per vizio di forma.

Il ricorso per cassazione

Con il primo motivo di ricorso, il lavoratore denuncia violazione di legge: dell’art. 32, comma 4, lett. d) della legge 183/2010 (oggi art. 39, d.lgs. 81/2015), dell’art. 6, legge 604/1966 e dell’art. 21, comma 4, d.lgs. 276/2003 (oggi art. 38, comma 1, d.lgs. 81/2015), deducendo, in sintesi, che, non avendo le società utilizzatrici dato prova di aver stipulato contratti in forma scritta con l’agenzia di somministrazione per ogni rapporto di lavoro instaurato con il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere che la disposizione relativa al termine di decadenza non si applica alle ipotesi di richiesta di costituzione o di accertamento di un rapporto di lavoro ormai risolto, in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto, nelle quali manchi un provvedimento in forma scritta o un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto stesso.

Il motivo è stato dichiarato infondato, sull’assunto che la Corte, anche di recente, ha confermato che l’operatività della disposizione di decadenza di cui alla norma suddetta e che la seguente proroga attiene anche ai contratti a termine in somministrazione (così Cass., 1.8.2023, n. 23413, con richiami di numerosi precedenti in motivazione).

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia “Violazione di legge: Direttiva 2008/104/CE del 19.11.2008, art. 5.5., relativa al lavoro tramite agenzia interinale, artt. 1344, 1418, 1421 e 1422 c.c., art. 32, legge 183/2010, art 28, d.lgs. 267/2003 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Il lavoratore deduce che la Corte d’appello erroneamente non esaminava nel merito la domanda volta ad accertare l’assunzione della somministrazione in frode alla legge (per superamento del requisito della temporaneità) estendendo a tale fattispecie la decadenza ex art. 32, comma 4, lett. d) della legge 183/2010 in violazione della direttiva 2008/104/CE e della normativa nazionale vigente in materia di atti nulli perché assunti in frode alla legge.

Il ricorso, quanto a questo secondo motivo, è stato considerato meritevole di accoglimento.

Le missioni reiterate indefinitamente e la possibile violazione della direttiva 2008/104/CE

In questo senso, si è ritenuto che le missioni successive assegnate al medesimo lavoratore tramite agenzia presso la stessa impresa utilizzatrice possano eludere l’essenza stessa delle disposizioni della direttiva 2008/104 e possano costituire un abuso di tale forma di rapporto di lavoro, in quanto idonee a compromettere l’equilibrio realizzato da tale direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest’ultima, specialmente quando non viene fornita alcuna spiegazione al fatto che un’impresa utilizzatrice ricorra a tale successione di contratti. In tal caso spetta al giudice nazionale verificare se una delle disposizioni della direttiva 2008/104 venga aggirata e ciò anche se sia maturata la decadenza prevista dall’art. 32, legge n. 183/2010 per l’azione di costituzione di un rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore.

La Corte d’appello aveva ritenuto, a riguardo, sulla questione generale, che nessuna rilevanza poteva riconoscersi alla sentenza richiamata dal ricorrente nei suoi scritti difensivi (Cass., 21.7.2022, n. 22861), atteso che la stessa riguardava diversa fattispecie, in cui era sottratto alla eccepita decadenza l’ultimo contratto intercorso tra le parti, in ordine al quale la verifica della sua nullità per essere stato stipulato in frode alla legge involgeva anche i pregressi contratti, nonostante la mancata tempestiva impugnativa, richiamando un passo della motivazione di Cass. 22861/2022.

Invero, Cass. 22861/2022 riguarda un caso analogo a quello in esame e nella sentenza si è affermato che il giudicato sulla decadenza dall’impugnativa dei contratti precedenti non preclude l’accertamento dell’abusiva reiterazione, atteso che la vicenda contrattuale, pur insuscettibile di costituire fonte di azione diretta nei confronti dell’utilizzatore per la intervenuta decadenza, può rilevare come antecedente storico che entra a far parte di una sequenza di rapporti, valutabile, in via incidentale, dal giudice, al fine di verificare se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare un’elusione degli obiettivi della direttiva 2008/104/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia con sentenze del 14.10.2020, in causa C-681/18, e del 17.3.2022, in causa C-232/20.

Da non dimenticare che, nel secondo motivo di ricorso qui in esame, il lavoratore ha dedotto, come già nel ricorso introduttivo e nell’atto di appello, che l’intera somministrazione intercorsa fosse da considerarsi fraudolenta per violazione degli artt. 1344 e 1418 c.c. e dell’art. 28, d.lgs. 276/2003, circostanza desumibile dalla durata della somministrazione intercorsa ininterrottamente dal 12.7.2007 sino al 24.11.2014, dall’enorme numero di contratti di lavoro firmati (n. 437 + n. 343 firmati con l’agenzia interinale per missioni sempre presso due società utilizzatrici) e dalla modalità della chiamata al lavoro che in tali oltre sette anni avveniva sempre ad opera di personale riconducibile agli utilizzatori e mai da parte dell’agenzia di lavoro.

Il formante giurisprudenziale

Gli stessi principi di diritto sono stati espressi da altre decisioni (Cass., 11.10.2022, n. 29570; Cass. 27.7.2022, n. 23494), oltre alle quali primeggia, per maggiore significatività del medesimo indirizzo interpretativo, Cass., 1.8.2023, n. 19216/2023. Quest’ultima decisione, relativa a fattispecie analoga a quella in esame, aveva accolto il ricorso per cassazione di una delle società comparenti nel giudizio in commento, ritenendosi che la decadenza dall’impugnativa del contratto di somministrazione di lavoro ex art. 39, d.lgs. 81/2015, si applica anche all’ipotesi di nullità del contratto stesso per mancanza di forma scritta ai sensi del precedente art. 38, comma 1, poiché, per un richiamo interno di norme dello stesso decreto, la predetta ipotesi della nullità viene ad essere inclusa nell’ambito di operatività della disciplina in tema di decadenza.

Nel caso di specie, in sede d’appello, l’attuale ricorrente, nella prospettiva di una somministrazione in frode alla legge, aveva tra l’altro evidenziato, schematicamente:

che tutti i contratti (presumibilmente inviati via mail direttamente all’agenzia) e le relative proroghe venivano siglati ex post (dopo che la prestazione lavorativa veniva resa);

il numero impressionante degli stessi contratti, oltre dieci contratti mensili firmati (più le relative proroghe), pari nel complesso a circa ottocento in poco più di sette anni;

l’innegabile continuità della prestazione resa sempre con la qualifica di autista, nel corso degli anni per lo svolgimento delle stesse mansioni.

La decisione per il giudizio di rinvio

Pertanto, essendo ininfluente, nei termini visti, il dato della maturata decadenza anche nel caso di specie, la Suprema Corte, con la sentenza annotata, demanda al giudice di rinvio, nell’esaminare la questione, finora rimasta non considerata, della prospettata frode alla legge, di verificare, nonostante la decadenza intervenuta dall’impugnativa di tutti i contratti di somministrazione di lavoro a termine, il limite di una durata che possa considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione delle norme imperative ai sensi dell’art. 1344 c.c. e, segnatamente, degli obblighi e delle finalità della più volte citata direttiva 2008/104/CE.

Peraltro, entrambe le società interessate e controricorrenti, circa la violazione della direttiva, 19.11.2008, art. 5.5, avevano avanzato la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE ex art. 276 TFUE.

Invero, la S.C. ritiene, correttamente, che tale rinvio pregiudiziale non si appalesi nella specie affatto necessario. Gli argomenti posti dalle parti per sollecitare il rinvio pregiudiziale comprendono una critica a quanto deciso in Cass. 22861/2022, non considerando che la decisione, con le coeve Cass. nn. 29570/2022 e 23494/2022, già diffusamente citate, erano state rese in base a identica e approfondita motivazione, che si fonda in gran parte su esteso esame del “Diritto dell’Unione Europea sul lavoro tramite agenzia interinale”, considerato in rapporto a varie decisioni proprio della CGUE, fino alla più recente sentenza 17.3.2022, in causa C-232/20; motivazione cui, quindi, la Corte rimanda anche ex art. 118 disp. att. c.p.c., rilevandosi, oltremodo, che nelle more non sono intervenute altre decisioni della Corte europea in tema di lavoro interinale che possano assumere rilievo sui temi in oggetto nella presente controversia.

Pasquale Dui, avvocato in Milano

Visualizza il documento: Cass., 14 marzo 2024, n. 6898

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