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Profili ricostruttivi in tema di risarcimento del danno a seguito di infortunio sul lavoro: tra onus probandi e tipizzazione delle norme di cautela violate

22 Aprile 2024|

La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento (ordinanza 5 aprile 2024, n. 9120), ha statuito che, in tema di infortunio sul lavoro, l’onere di allegazione del lavoratore non può estendersi fino a comprendere anche l’individuazione delle specifiche ‘norme di cautela violate’, specie ove non si tratti di misure tipiche o nominate ma di casi in cui molteplici e differenti possono essere le modalità di conformazione del luogo di lavoro ai requisiti di sicurezza.

L’identificazione dell’inadempimento, quale componente dell’onere di allegazione del lavoratore, deve essere modulata in relazione alle concrete circostanze e alla complessità o peculiarità della situazione che ha determinato l’esposizione al pericolo (R. Scognamiglio, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, ora in Responsabilità civile e danno, Giappichelli, 2010, 94 ss. 96 s.; L. Corsaro, Responsabilità civile I. diritto civile, in EGT, XXVI, la responsabilità civile si identifica con la responsabilità extracontrattuale o aquiliana e si distingue nettamente dalla responsabilità per inadempimento dell’obbligazione, in quanto quest’ultima riguarda solo il debitore inadempiente, mentre la prima può far carico su chiunque violi l’interesse tutelato dalla legge in capo alla persona).

Nel caso di specie, relativa ad un infortunio subito da un lavoratore a causa di una caduta mentre provvedeva al rifornimento di gasolio per il camion che aveva in dotazione, il lavoratore aveva descritto lo stato dei luoghi aziendali ed esattamente del distributore, sottolineando l’esistenza di un dislivello tra il piano di calpestio e il distributore e la assenza di barriere protettive e di sistemi di riavvolgimento automatico della pompa, condizioni tali da rendere concreto il pericolo di caduta nell’esecuzione delle operazioni di rifornimento.

Per comprendere la querelle sottoposta all’attenzione del supremo Consesso, tuttavia, occorre ricostruire – seppur brevemente – vicende fattuali e processali che hanno dato origine alla decisione in analisi.

La Corte d’Appello di Napoli ha accolto l’appello di una società in liquidazione e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda del ricorrente, volta ad ottenere il risarcimento de danno differenziale conseguente all’infortunio occorso il 24 aprile 2012.

La Corte territoriale ha premesso che il lavoratore, con mansioni di autista, aveva allegato di essere caduto mentre provvedeva ad effettuare il rifornimento di gasolio per il camion che aveva in dotazione; che la caduta era stata causata dall’intralcio costituito dal tubo di erogazione dell’impianto di rifornimento, sito presso la sede aziendale, mentre egli si trovava posizionato su una piattabanda collocata ad un livello inferiore rispetto al distributore.

I giudici di appello hanno ritenuto che le prove testimoniali, assunte in primo grado e poste a base della decisione di accoglimento del ricorso da parte del tribunale, non consentivano in realtà di ricostruire la dinamica dell’incidente poiché i testimoni non avevano assistito in maniera diretta al suo verificarsi ed avevano riferito unicamente di una caduta, per essere il ricorrente inciampato nel tubo di erogazione del carburante mentre riforniva l’automezzo, manovra che, come autotrasportatore, eseguiva ormai da molti anni.

Hanno rilevato, inoltre, che né dalle deposizioni testimoniali né dal ricorso introduttivo del giudizio emergevano le norme di prevenzione violate dal datore di lavoro e che l’incidente era quindi da attribuire a negligenza e imprudenza dello stesso lavoratore (v., sul punto, per tutti, L. Corsaro, Tutela del danneggiato e responsabilità civile, Giuffrè, 2003, 16 s., il quale puntualizza che la diversità degli interessi è testimoniata «dal fatto che, nella responsabilità contrattuale, la lesione avviene nell’ambito di un programma negoziale, di cui l’adempimento fa parte e che esso è rivolto ad attuare, mentre in quella extracontrattuale, la lesione avviene nell’ambito di un contatto sociale, estraneo a qualsiasi programma»).

Avverso tale sentenza il dipendente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. La società ha resistito con controricorso.

Il lavoratore ha denunciato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., nonché degli artt. 15 e 18 del D. Lgs. n. 81 del 2008, dell’art. 116 c.p.c.

Di particolare interesse sul piano dogmatico sono le deduzioni del ricorrente in punto di onus probandi (v., su queste tematiche, M. Napoli, La tutela dei diritti tra diritto sostanziale e processo: interessi protetti e forme di tutela, in M. Barbieri – F. Macario – G. Trisorio Leuzzi, La tutela in forma specifica dei diritti nel rapporto di lavoro, Giuffrè, 2004, 49 ss. 58; da ultimo, P. Albi, Adempimento cit., 147; cfr. anche L. Spagnuolo Vigorita, Responsabilità dell’imprenditore, in Nuovo trattato di diritto del lavoro, diretto da L. Riva Sanseverino – G. Mazzoni, II, Cedam, 1971, 418 ss. 452 s.).

Il ricorrente ha ritenuto di aver allegato, fin dal ricorso introduttivo, che l’infortunio si era verificato nell’espletamento dell’attività lavorativa, presso la sede operativa della società datoriale e che, nell’effettuare il rifornimento di gasolio al camion in dotazione presso il distributore ivi collocato, era caduto a terra a causa dell’intralcio costituito dal tubo di erogazione sprovvisto di sistema di sicurezza. Il medesimo ha aggiunto che tale dinamica era riportata nella denuncia di infortunio trasmessa dalla società all’Inail, che aveva riconosciuto e indennizzato l’infortunio.

Ha affermato, anche, di avere, fin dal ricorso introduttivo del giudizio, argomentato sulla nocività del luogo di lavoro e, precisamente, sul fatto che “il tubo andava a cadere su una piattabanda posizionata in maniera irregolare al di sotto del distributore e per l’intera estensione dello stesso, creando una sporgenza da uno dei due lati.

La collocazione della piattabanda determinava un dislivello tra la superficie di calpestio e il distributore, atteso che la stessa fuoriusciva da uno dei due lati dell’erogatore, creando una sporgenza. L’incidente – secondo la ricostruzione del dipendente – si sarebbe potuto evitare operando una modifica dello stato di fatto dei  luoghi ovvero apponendo delle barriere protettive ad hoc eliminando il dislivello, nonché adottando un sistema di riavvolgimento automatico della pompa.

L’incidente sarebbe – secondo la ricostruzione de quo – da attribuirsi alla esclusiva responsabilità del datore di lavoro per non avere apprestato le opportune misure di sicurezza nell’area di sosta dove è ubicato il serbatoio del gasolio per consentire il rifornimento dei mezzi.

Di notevole rilevanza, in tale prospettiva, appare la norma di chiusura del sistema della responsabilità civile datoriale di cui all’art. 2087 c.c. (per un efficace “riepilogo” del dibattito v. G. Pino, Una rilettura degli obblighi di sicurezza sul lavoro. L’art. 2087 del codice civile tra potere direttivo del datore di lavoro e responsabilità sociale dell’impresa, in DML, 2006, 47 ss.; F. Benatti, Osservazioni in tela di “obblighi di protezione”, in RTDPC, 1960, 1342 ss., 1361 s.).

Tale disposizione – come accennato – di chiusura del sistema di prevenzione e di sicurezza nel rapporto di lavoro, impone, invero, all’imprenditore di adottare tutte le misure e le cautele atte a preservare l’integrità psicofisica dei lavoratori, tenuto conto delle caratteristiche concrete dei luoghi di lavoro e, in generale, della realtà aziendale. L’obbligo di sicurezza imposto dall’art. 2087 c.c. si innesta nella complessa e multiforme struttura del rapporto obbligatorio tra lavoratore e datore di lavoro ed è fonte di responsabilità contrattuale (L. Montuschi, Il rischio amianto: quale tutela? Introduzione al dialogo, in Il rischio da amianto, Questioni sulla responsabilità civile e penale, a cura di L. Montuschi e G. Insolera, Bonomia University Press, 2006, 9 ss. 18).

La formulazione della norma in esame, attraverso l’espresso riferimento alle “misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare la integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, correla l’obbligo di protezione alle concrete e indefinite situazioni di rischio a cui il lavoratore può trovarsi esposto e in tal modo impone al datore di lavoro l’adozione non solo delle misure cd. nominate ma anche di tutte quelle che, seppure non tipizzate, siano richieste dalle conoscenze tecniche e dall’esperienza riferite ad un determinato momento storico (G. Ludovico, Tutela previdenziale per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, e responsabilità civile del datore di lavoro, Giuffrè, 2013, 115 ss.).

Dunque, giova rilevare, sotto tale profilo, che caratteristiche dell’obbligo di sicurezza, come appena delineate, si riflettono sul contenuto degli oneri di allegazione e prova che gravano sul creditore dell’obbligo medesimo, il lavoratore, che, quando agisca verso il datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio, ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento ed il danno. Invero, tale onus probandi non si estenderebbe anche alla colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c. (Cass. n. 10319 del 2017; n. 14467 del 2017; n. 34 del 2016; n. 16003 del 2007).

La decisione in commento ha il pregio di analizzare funditus la questione della allegazione del “fatto costituente inadempimento”.

Secondo la Corte di Cassazione, “l’inadempimento esprime la qualificazione giuridica di una determinata condotta, commissiva o omissiva, adottata in violazione di un obbligo preesistente, e ciò comporta che la relativa allegazione debba modularsi in relazione alle caratteristiche ed al contenuto di tale obbligo” (vedasi L. Montuschi, La Corte costituzionale e gli standard di sicurezza del lavoro, in ADL, 2006, 3 ss. 8).

In tale ottica, dunque, l’art. 2087 c.c. pone un generale obbligo di tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, senza ulteriori specificazioni in merito alle condotte omissive e commissive destinate a sostanziarlo; conseguentemente, l’onere di allegazione del lavoratore non può estendersi fino a comprendere anche l’individuazione delle specifiche “norme di cautela violate”, come preteso, invece, dalla Corte di merito.

Tale onere probatorio non sarebbe da assolvere quando si tratti di misure tipiche o nominate ma di casi in cui molteplici e differenti possono essere le modalità di conformazione del luogo di lavoro ai requisiti di sicurezza.

È, invece, necessario, secondo la Suprema Corte, che il lavoratore alleghi la condizione di pericolo insita nella conformazione del luogo di lavoro, nella organizzazione o nelle specifiche modalità di esecuzione della prestazione, ed il nesso causale tra la concretizzazione di quel pericolo e il danno psicofisico sofferto.

I giudici rilevano, a completamento e a corredo dell’iter motivazionale, che incombe sul datore di lavoro l’onere di provare l’inesistenza della condizione di pericolo oppure di aver predisposto tutte le misure atte a neutralizzare o ridurre, al minimo tecnicamente possibile, i rischi esistenti.

Si ritiene di particolare pregio la ricostruzione ermeneutica relativa all’identificazione dell’inadempimento, quale componente dell’onere di allegazione del lavoratore: essa deve essere modulata in relazione alle concrete circostanze e alla complessità o peculiarità della situazione che ha determinato l’esposizione al pericolo (cfr., sul punto, per la rilevanza della condotta del lavoratore «imprevedibile ed abnorme», Cass. pen. 10 gennaio 2018, n. 4941, in NGL, 2018, 380; come sottolinea Cass. 8 maggio 2007, n. 1044, la prova liberatoria, fornita dal datore di lavoro, ai sensi dell’art. 1218 c.c. attiene all’insorgenza di «un evento imprevisto e imprevedibile»).

Venendo al caso di specie, il lavoratore nel ricorso introduttivo della lite ha descritto lo stato dei luoghi aziendali, esattamente del distributore ove egli doveva fare rifornimento per il veicolo in dotazione, sottolineando l’esistenza di un dislivello tra il piano di calpestio e il distributore e la assenza di barriere protettive e di sistemi di riavvolgimento automatico della pompa, condizioni tali da rendere concreto il pericolo di caduta nell’esecuzione delle operazioni di rifornimento.

La Corte Suprema statuisce – innestandosi in un filone giurisprudenziale, invero, granitico, che, in materia di tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore, il datore di lavoro, in caso di violazione della disciplina antinfortunistica, è esonerato da responsabilità soltanto quando la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell’abnormità, dell’imprevedibilità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute.

Ne consegue che, qualora non ricorrano simili caratteristiche nella condotta del lavoratore, l’imprenditore è integralmente responsabile dell’infortunio che sia conseguenza dell’inosservanza delle norme antinfortunistiche, poiché la violazione dell’obbligo di sicurezza integra l’unico fattore causale dell’evento, non rilevando in alcun grado l’eventuale concorso di colpa del lavoratore, posto che il datore di lavoro è tenuto a proteggerne l’incolumità nonostante la sua imprudenza e negligenza (M. Comporti, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Edizioni Scientifiche Italiane, ristampa, 2014, 187; L. Montuschi, L’incerto cammino della sicurezza del lavoro fra esigenze di tutela, onerosità e disordine normativo, in RGL, 2001, 4, 501 ss. 516).

La Corte di Cassazione, dunque, accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando la causa alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della fattispecie.

Giuseppe Maria Marsico, dottorando di ricerca in diritto privato e dell’economia e funzionario giuridico-economico-finanziario

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 5 aprile 2024, n. 9120

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