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NASpI e stato di disoccupazione: per negare il beneficio occorre che sia svolta un’attività lavorativa e percepito un reddito superiore al minimo

8 Giugno 2024|

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 6933 del 14 marzo 2024, si è pronunciata in relazione ad un caso di rigetto di una domanda di accesso alla NASpI.

Il rifiuto dell’INPS era stato motivato dal fatto che il ricorrente non aveva comunicato, nei trenta giorni dalla data della domanda, di ricoprire la carica di presidente del consiglio di amministrazione di una società cooperativa, da cui presumibilmente percepiva reddito.

La Suprema Corte ha ritenuto che il rifiuto dell’INPS fosse ingiustificato, confermando le sentenze dei precedenti due gradi di giudizio che già avevano accolto la domanda del lavoratore.

La decisione è condivisibile, anche se occorre qualche precisazione che la motivazione sembra dare per scontata.

Più in particolare, la motivazione sembra trascurare che la norma da cui partire per la disciplina del caso concreto è l’art. 3, comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 22/15, a mente del quale lo «stato di disoccupazione» è requisito imprescindibile per il riconoscimento della NASpI.

Non dovrebbe trovare applicazione, invece, l’art. 10, comma 1, D.lgs. n. 22/2015, ai sensi del quale «il lavoratore che durante il periodo in cui percepisce la NASpI intraprenda un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, dalla quale ricava un reddito “…”, deve informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne». Né tantomeno dovrebbe applicazione il successivo art. 11, comma 1, lett. c), secondo cui la violazione di questo obbligo determina la «decadenza dalla fruizione della NASpI ».

Le due norme sopra citate, infatti, si riferiscono al caso di un’attività lavorativa iniziata dopo l’ammissione al trattamento; mentre, nella specie, l’attività lavorativa era già esistente al momento della presentazione della domanda.

La soluzione del caso concreto, comunque, non sarebbe cambiata, poiché la Suprema Corte si è concentrata sull’inconfigurabilità di un’attività lavorativa in senso proprio, a prescindere dal momento in cui questa era effettivamente iniziata. Al riguardo, si legge infatti in motivazione che  “l’odierno controricorrente ha dimostrato di non aver intrapreso alcuna attività di lavoro autonomo o imprenditoriale, comprovando di essere titolare unicamente delle cariche sociali di presidente e consigliere del consiglio di amministrazione di una società cooperativa”.

A tal fine, la Suprema Corte ha ribadito il proprio costante orientamento secondo cui “l’amministratore unico o il consigliere d’amministrazione di una società per azioni sono legati da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non può ritenersi compreso né tra i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. né, a fortiori, tra quelli di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c., salvo diverso accertamento del giudice di merito (Cass. S.U. n. 1545 del 2017, cui hanno dato continuità, tra le numerose, Cass. nn. 285 del 2019 e 345 del 2020)”.

Pertanto, nella specie, lo stato di disoccupazione che leggittimava l’accesso alla NASpI era effettivamente sussistente.

Questa lettura appare coerente con la lettera dell’art. 19, comma 1, del D.lgs. n. 150/15, che definisce lo stato di disoccupazione come la condizione dei soggetti «privi di impiego», in sostanziale continuità con quanto prevedeva l’ormai abrogato art. 1, comma 2, lett. c), del D.lgs. n. 181/00.

In conclusione, dunque, può affermarsi che chi svolge attività non lavorativa, ancorché retribuita, può legittimamente fare domanda per la NASpI ed ottenere il beneficio dell’ammortizzatore sociale, peraltro senza alcuna decurtazione.

Nella specie, le conclusioni della Suprema Corte appaiono corrette anche per un’altra ragione, pur non valorizzata nell’iter motivazionale. Occorre, infatti, ricordare che l’inconfigurabilità di un’attività lavorativa non è l’unico requisito per ritenere integrato lo stato di disoccupazione.

Invero, da quando è entrato in vigore il D.L. n. 4/19, in tema di reddito di cittadinanza, vale il principio per cui «si considerano in stato di disoccupazione anche i lavoratori il cui reddito da lavoro dipendente o autonomo corrisponde a un’imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti ai sensi dell’articolo 13 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917» (cfr. art. 4, comma 15 quater, D.L. cit.). Tale disposizione, a differenza delle altre, non è stata abrogata dalla successiva Legge 29 dicembre 2022, n. 197, e, dunque, non può essere ignorata.

Ne consegue che l’INPS aveva errato due volte nel negare l’accesso alla NASpI: una prima volta, quando aveva considerato attività lavorativa la mera assunzione di cariche sociali, come giustamente rilevato dall’ordinanza in commento; una seconda volta, quando ha omesso di verificare a quanto ammontasse il corrispettivo per tale asserita attività lavorativa.

Roberto Maurelli, avvocato in Roma e dottore di ricerca

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 14 marzo 2024, n. 6933

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