Modifiche in peius nella successione di contratti collettivi e limite invalicabile dei diritti quesiti
11 Novembre 2024|La Suprema Corte di cassazione, con l’ordinanza in commento,16 maggio 2024 n.13595, interviene sulla controversa questione dell’ammissibilità delle modifiche in peius sul trattamento retributivo del lavoratore, nell’ipotesi di successione di contratti collettivi, sia di pari che di diverso livello.
Sul punto v., per una più ampia disamina DE LUCA Rapporto tra contratti collettivi di diverso livello in contrasto tra loro: dalla autonomia collettiva la configurabilità e la risoluzione del contrasto in VTDL n. 3/2024, BAVASSO, Ancora su diritti quesiti e successione nel tempo di contratti collettivi, in www.rivistalabor.it, 14 Aprile 2023, a commento di Cass.,17 gennaio 2023, n. 1281, e BELLINI, In caso di successione di contratti collettivi, soltanto il trattamento retributivo esistente al momento del passaggio contrattuale costituisce un diritto quesito non modificabile in peius, sempre in www.rivistalabor.it, 13 febbraio 2023, a commento di Cass., 21 ottobre 2022, n. 31148.
La fattispecie giuridica contemplata nella pronuncia in esame attiene alla pretesa del lavoratore ricorrente, percettore di una indennità annua per obiettivi e di un assegno ad personam, di mantenere le indennità preesistenti nonostante il venir meno della relativa contrattazione.
A tal fine richiede la declaratoria di nullità della clausola 6 dell’accordo aziendale successivo che prevede «coloro che alla data odierna beneficiano di trattamenti riconosciuti esclusivamente a livello individuale in aggiunta a quanto previsto dalla contrattazione collettiva matureranno il diritto al riconoscimento delle voci ERA1 ed ERA2 solo con decorrenza dal definitivo superamento di detti accordi individuali e dei corrispondenti trattamenti da perfezionare con accordo sottoscritto nelle sedi e con le modalità di cui all’art. 2113 ultimo comma c.c.».
La Corte di merito, territorialmente competente sostiene, sulla controversa fattispecie, che la nuova contrattazione aziendale accorpa talune indennità accessorie di natura collettiva in ERA 1 ed ERA 2, connesse alla presenza in servizio. Equipara, altresì, tali indennità ai trattamenti ad personam preesistenti e riconosce la facoltà del beneficiario di assegno ad personam di transigere per percepire le nuove indennità.
Tali sostanziali premesse spingono la Corte di merito ad escludere l’illegittimità della clausola 6) dell’accordo aziendale e la ritenuta efficacia erga omnes dello stesso.
Ricorre in Cassazione il lavoratore deducendo la violazione dell’art. 36 Cost. e di numerose norme codicistiche (artt. 2103, 2077 co.2, 2103, 1362,1366, 1175 e 1375 c.c.) in riferimento alla clausola 6 dell’accordo aziendale per sostanziale difformità tra le nuove indennità e l’assegno ad personam non correlato, come precedentemente pattuito, alla presenza in servizio. Evidenzia inoltre la carenza di potere della contrattazione collettiva di stipulare accordi relativi a diritti inalienabili del lavoratore con effetti peggiorativi sul trattamento economico.
Il Supremo Collegio, confermando le pronunce di merito, delinea il contesto in cui clausola 6 dell’accordo sindacale aziendale fonda la sua validità. È indubbio che la previsione disciplina le modalità di erogazione delle nuove indennità accessorie e non lede unilateralmente i trattamenti individuali riconosciuti ai singoli. Si colloca in una più ampia ottica di omogeneizzazione delle retribuzioni e di premialità della presenza al lavoro nonché di riduzione dei costi e di contenimento delle ricadute economiche ed occupazionali negative.
Le indennità retributive accessorie in esame non sono riconducibili all’ambito di operatività dell’art. 36 Cost e alle garanzie di sufficienza e proporzionalità ivi previste. Dunque, la causa dell’accordo sindacale censurato è lecita se riordina il sistema retributivo, la razionalizza la spesa per il personale e monitora il costo del lavoro.
L’accordo aziendale sopravvenuto rientra nelle prerogative dell’autonomia contrattuale collettiva che correla le nuove indennità accessorie alla presenza in servizio. La pretesa del lavoratore di mantenere definitivamente il diritto derivante da fonte collettiva caducata o sostituita è infondata. Non attiene tale pretesa a disposizioni, legislative e collettive, inderogabili né a diritti indisponibili. Trattasi di diritti ulteriori e di miglior favore rispetto alle previsioni legali e collettive riconosciuti dal contratto individuale a cui il lavoratore può rinunciare legittimamente. L’integrazione delle clausole pattizie collettive nel contratto individuale di lavoro avviene con rinvio alla fonte normativa astrattamente considerata e, dunque, sensibile alle successive modifiche.
In tal senso la Suprema Corte richiama la giurisprudenza consolidata che afferma «Nell’ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni “in peius” per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall’esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale».
Conclusivamente, l’accordo sindacale successivo ha reso alternative alla fruizione degli emolumenti ad personam le nuove indennità accessorie lasciando al lavoratore la scelta se riacquistare le indennità accessorie legate alla presenza o trattenere quella ad personam mediante accordo assistito.
La funzione sociale riconosciuta alla fonte collettiva non può prescindere dalla evoluzione continua del contesto socio – economico in cui opera: è legittimo consentire nella successione di contratti collettivi di lavoro le modifiche peggiorative entro limiti invalicabili rappresentati dall’intangibilità della retribuzione e dal riconoscimento dei diritti quesiti che non sono paragonabili alle mere aspettative a percepire in futuro un dato trattamento economico.
Maria Aiello, primo tecnologo CNR, responsabile Istituto di bioimmagini e sistemi biologici complessi, sede di Catanzaro
Visualizza il documento: Cass., ordinanza 16 maggio 2024, n. 13595
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