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L’indennità sostitutiva di mensa, non avendo natura retributiva, è esclusa dal computo ai fini del TFR

28 Giugno 2024|

Con l’ordinanza in commento, Cass n. 7181 del 18 marzo 2024, la Suprema Corte si pronuncia nuovamente sul tema del computo dell’indennità sostitutiva di mensa nel calcolo del trattamento di fine rapporto.

Il contesto normativo di riferimento applicabile è delineato dall’art. 6, comma 3, d.l. n. 333/1992 (convertito dalla l. n. 359/1992) che dispone «Salvo che gli accordi e i contratti collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente, stabilendo se e in quale misura la mensa è retribuzione in natura, il valore del servizio di mensa, comunque gestito ed erogato, e l’importo della prestazione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito dall’azienda, non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato» e dall’art. 2120 comma 2 c.c. che computa per il calcolo del TFR  «tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese» facendo salve le disposizioni dei contratti collettivi.

L’interpretazione letterale della prima norma esclude tout court l’indennità sostitutiva di mensa dalla nozione di retribuzione base per il calcolo del TFR nel caso in cui l’indennità sostitutiva venga corrisposta al lavoratore che non si avvale del servizio mensa effettivamente erogato dall’azienda mentre include l’indennità nel caso in cui tale servizio non sia istituito in azienda, salvo diversa disposizione della contrattazione collettiva.

L’orientamento giurisprudenziale di legittimità prevalente e oramai consolidato sul punto supera l’interpretazione letterale della norma quando ritiene che sia applicabile in ogni caso in cui venga corrisposta una somma equivalente al valore del servizio di mensa o comunque sostitutiva dello stesso, e non solo, laddove un servizio mensa sia istituito in azienda ma non fruito dal lavoratore.

Sulla base di queste premesse giuridiche si sono orientate in direzioni opposte il giudice di merito e la Suprema Corte.

Nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello territorialmente competente, in parziale accoglimento della domanda proposta da un infermiere ospedaliero, ai sensi dell’art. 2120, comma 2 c.c.,   ridetermina la somma spettante a  titolo  di  differenza sul trattamento di fine rapporto riconoscendo al lavoratore sia gli emolumenti percepiti a titolo di compartecipazioni/incentivazioni espressamente indicati in busta paga, anche se non specificamente richiesti, sia l’indennità  sostitutiva di mensa fino al 31.12.2001, data a decorrere dalla quale entra in vigore il  C.C.N.L. Comparto Sanità Pubblica integrativo del C.C.N.L. 7.4.1999 che all’ art. 46 non menziona l’indennità di mensa tra le voci della retribuzione utili ai fini del trattamento di fine rapporto.

La Corte di merito sposa l’interpretazione letterale della norma sopra menzionata limitando l’applicazione ai soli casi in cui il servizio mensa sia stato attivato presso l’azienda, e il lavoratore abbia scelto di non fruirne, e non alla fattispecie oggetto di causa in cui difetta la prova della istituzione del servizio mensa.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ente ospedaliero lamentando la violazione e falsa applicazione della norma del d.l. 333/1992 e del CCNL Comparto Sanità per aver ricompreso erroneamente nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto l’indennità sostitutiva di mensa, espressamente esclusa dalla contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro.

La Suprema Corte accoglie parzialmente il ricorso recependo la corretta interpretazione dell’art. 6, terzo comma, d.l. 11 luglio 1992 n. 333, già affermata in consolidate pronunce di legittimità (Cass. n. 15767 del 2001; n. 3623/ 1994), che sottolineano «il valore del servizio mensa  e  l’importo  della  prestazione  sostitutiva percepita da chi non usufruisce del servizio aziendale non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente ad istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro, salva la possibilità di una diversa previsione – nel senso che il servizio mensa debba considerarsi come retribuzione in natura – da parte dei contratti collettivi nazionali e aziendali, anche se stipulati anteriormente all’entrata in vigore del citato decreto».

E sottolineano, anche, il valore di interpretazione autentica riconosciuta alla legge di conversione 359/1992 «di guisa che, allo stato, e con valore retroattivo, soltanto in quanto la volontà collettiva si sia espressamente manifestata nel senso del valore retributivo del pasto o della indennità sostitutiva, questi sono computabili ai fini del trattamento di fine rapporto».

 Conclude il Supremo Collegio richiamando la storica pronuncia a SS.UU., Cass 3888/1993, che esclude la natura ontologicamente retributiva del servizio mensa o indennità sostitutiva «ribadendo che è rimessa alla fonte legale o contrattuale l’individuazione delle voci da includere nella retribuzione base per il calcolo degli istituti di retribuzione indiretta o differita».

In conclusione, la pronuncia qui segnalata definisce il rapporto tra l’indennità sostitutiva di mensa e il computo del TFR recependo la corretta interpretazione della norma di riferimento che non distingue tra effettiva istituzione o meno del servizio mensa ma tiene conto esclusivamente della natura non retributiva dell’indennità salva diversa previsione da parte dei contratti collettivi che hanno il potere di «includere il valore reale o l’importo della relativa indennità sostitutiva nella base di calcolo di qualsiasi istituto».

Maria Aiello, primo tecnologo CNR, responsabile Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare, sede di Catanzaro

Visualizza il documento: Cass., 18 marzo 2024, n. 7181

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