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Licenziamento per sopravvenuta inabilità (parziale o) totale alle mansioni e lo speciale onere di repechage: accomodamenti ragionevoli

24 Febbraio 2024|

Nel diritto del lavoro moderno e civile si fa sempre più strada la tutela del disabile e/o portatore di handicap grazie alle norme eurounitarie antidiscriminatorie.

La Corte dell’Unione è stata interrogata dal Tribunale Superiore della Giustizia delle Isole Baleari (l’equivalente della nostra Corte di Appello), territorialmente competente per le controversie in materia di lavoro, in relazione alla corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 2, co. 2, dell’art. 4 e dell’art. 5 della Direttiva 78/2000/CE in combinato disposto con gli artt. 21 e 26 della CDFUE e degli artt. 2 e 27 della Convenzione ONU sulla disabilità del 13.12.2006, recepita dal diritto dell’unione con la Decisione 2010/48/CE del 26.11.2009.

Il caso riguarda un lavoratore, conducente di automezzi pesanti, che a seguito di un infortunio sul lavoro era stato ricollocato in mansioni equivalenti (automezzi per la raccolta di rifiuti domestici), ma di minor carico di lavoro per quantità e qualità della prestazione lavorativa, a causa dei postumi fisici riportati alla caviglia e piede destro che gli impediscono di stare alla guida in maniera costante e continuativa. Il diritto spagnolo, alla stregua dell’assegno di invalidità ordinaria del nostro ordinamento, ha riconosciuto in favore del lavoratore anche una indennità mensile (pari al 55% della retribuzione giornaliera).

A causa dell’aggravarsi delle sue condizioni ed in ragione della sua sopravvenuta inabilità specifica allo svolgimento delle proprie mansioni, il lavoratore viene licenziato.

Il diritto spagnolo non conosce l’istituto di marca giurisprudenziale del nostro ordinamento (per una sintesi, cfr. Wikilabour), ossia dell’onere di repechage in mansioni comunque compatibili con la residua capacità lavorativa; anzi: l’art. 49 dello Statuto dei Lavoratori spagnolo consente la risoluzione automatica del rapporto di lavoro a seguito dell’accertamento “dell’inidoneità permanente totale all’esercizio della professione abituale” (ossia delle mansioni specifiche).

La Corte spagnola, dunque, si interroga circa il fatto se, in tale situazione, debba applicarsi l’istituto degli adattamenti ragionevoli, atteso che il lavoratore, secondo il diritto dell’Unione, può essere considerato disabile; se l’onere della prova dell’adozione di una ricollocazione delle sue capacità lavorative residuali debba ricadere sul lavoratore visto il precedente costituito dalla “sentenza del 10 febbraio 2022, HR Rail (C‑485/20, ECLI:EU:C:2022:85), dalla quale risulterebbe che il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti appropriati per consentire a una persona disabile di accedere a un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione, a meno che tali provvedimenti non impongano al datore di lavoro un onere sproporzionato.”.

In breve, come illustra il Collegio europeo, “Il giudice del rinvio fa altresì riferimento alla giurisprudenza del Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna), da cui risulta che, sebbene l’inidoneità permanente totale non obblighi il datore di lavoro a licenziare il lavoratore e non osti, in particolare, a una riassegnazione di quest’ultimo a un altro posto in seno all’impresa, dato che tale inidoneità incide unicamente sulla sua attitudine ad esercitare le sue funzioni abituali e non gli impedisce quindi di svolgere altri compiti, detto datore di lavoro non è tuttavia tenuto a procedere a una siffatta riassegnazione, a meno che essa non sia espressamente prevista da un contratto collettivo di lavoro o dal contratto. Di conseguenza, il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale con l’articolo 5 della direttiva 2000/78 …”, nel senso che la normativa spagnola sembrerebbe violare la Direttiva in esame laddove viene prevista la risoluzione automatica del rapporto di lavoro per la sopravvenuta inabilità alle mansioni specifiche senza “che l’impresa abbia preventivamente adempiuto all’obbligo di adottare “soluzioni ragionevoli”, come richiesto dall’articolo 5 della direttiva, per preservare l’occupazione (o di dimostrare che tale obbligo costituisce un onere sproporzionato).”.

La Corte UE, con la sentenza qui annotata (Sez. I, 18 gennaio 2024, C-631-22) espone la sua nomofilassi con una straordinaria chiarezza:

  • In caso di inabilità parziale o assoluta alle mansioni specifiche del lavoratore, quale “limitazione della capacità, risultante, in particolare, da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori” (è questo il concetto di disabilità alla luce della Direttiva 78/2000/CE), il datore di lavoro è tenuto all’applicazione dell’istituto degli adattamenti ragionevoli;
  • L’istituto si applica a qualunque datore di lavoro, qualunque ne sia la natura pubblica o privata;
  • L’ipotesi della cessazione del rapporto di lavoro rientra nell’ambito di applicazione della Direttiva 78/2000/CE “[v., in tal senso, sentenza del 12 gennaio 2023, TP (Installatore audiovisivo per la televisione pubblica), C‑356/21, ECLI:EU:C:2023:9, punto 62]. Tale nozione dev’essere interpretata pertanto nel senso che comprende qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore e, quindi, senza il suo consenso (v., per analogia, sentenza dell’11 novembre 2015, Pujante Rivera, C‑422/14, ECLI:EU:C:2015:743, punto 48 e giurisprudenza ivi citata)”.
  • La volontà adesiva del lavoratore al recesso aziendale risulta irrilevante, atteso che il divieto di discriminazione ed i diritti che ne sono diretta conseguenza risultano essere indisponibili: “La circostanza che il lavoratore interessato abbia chiesto egli stesso il riconoscimento di tale inidoneità permanente totale e che sapesse che la normativa conferiva al suo datore di lavoro il diritto di risolvergli il contratto di lavoro a seguito di tale riconoscimento non significa, al riguardo, che tale lavoratore abbia acconsentito alla cessazione di detto contratto. Di conseguenza, una risoluzione in forza di detta normativa rientra nelle «condizioni di licenziamento», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78, in quanto costituisce una cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore.”.
  • La Convenzione ONU sulla disabilità del 2006 concorre all’esatta interpretazione ed applicazione della Direttiva 78/2000/CE: “, in tal senso, sentenza del 21 ottobre 2021, Komisia za zashtita ot diskriminatsia, C‑824/19, ECLI:EU:C:2021:862, punto 59 e giurisprudenza ivi citata”.
  • Il concetto di discriminazione per disabilità va inteso “qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Tale nozione comprende tutte le forme di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole.”.

Ossia, la mancata adozione di adattamenti ragionevoli costituisce ipotesi espressa di violazione del divieto di discriminazione ai sensi dell’art. 2 Convenzione ONU.

  • La nozione di «soluzioni ragionevoli» implica che “un lavoratore il quale, a causa della sua disabilità, sia stato dichiarato inidoneo alle funzioni essenziali del posto da lui occupato, sia riassegnato ad un altro posto per il quale presenta le competenze, le capacità e le disponibilità richieste, purché tale misura non imponga al suo datore di lavoro un onere sproporzionato.”.
  • Le norme interne spagnole che consentono il licenziamento del lavoratore in maniera automatica al sopraggiungere della sua inabilità assoluta alle mansioni specifiche costituisce una violazione delle norme europee.
  • Il fatto che il lavoratore possa percepire una indennità mensile previdenziale (collocamento in quiescenza anticipato) a seguito del recesso per tali ragioni è del tutto irrilevante e non sana la violazione delle norme UE né modifica la situazione di discriminazione in cui malversa il lavoratore: “La circostanza che, in forza della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, l’inidoneità permanente totale sia riconosciuta su domanda del lavoratore e che gli dia diritto ad una prestazione previdenziale, vale a dire un’indennità mensile, pur conservando la possibilità di svolgere altre funzioni, è irrilevante al riguardo.”.

Ed infatti, ribadisce la Prima Sezione: “una normativa nazionale in materia di previdenza sociale non può contravvenire, in particolare, all’articolo 5 della direttiva 2000/78, letto alla luce degli articoli 21 e 26 della Carta, erigendo la disabilità del lavoratore a causa di licenziamento, senza che il datore di lavoro debba prima prevedere o mantenere soluzioni ragionevoli al fine di consentire a tale lavoratore di conservare il posto di lavoro, né dimostrare, eventualmente, che siffatte soluzioni costituirebbero un onere sproporzionato, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 45 della presente sentenza.”.

Francesco Andretta, avvocato in Napoli

Visualizza il documento: C. giust., sez. Iª, 18 gennaio 2024, causa C-631/22

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