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La limitazione delle conseguenze economiche in caso di illegittima apposizione del termine: nessuna estensione alla fattispecie di erronea qualificazione del rapporto

1 Giugno 2024|

Con l’ordinanza in commento, n. 1134 dell’11 gennaio 2024, la Suprema Corte si pronuncia nuovamente sul tema dell’applicabilità del previgente testo dell’art. 32, comma 5, l. 4 novembre 2010, n. 183, all’ipotesi in cui un rapporto autonomo stipulato a tempo determinato sia riqualificato come subordinato a tempo indeterminato.

Ci si chiede, in sostanza, se nel caso appena menzionato il soggetto riconosciuto come datore di lavoro, con il quale viene dichiarato costituito il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, possa avvalersi della norma che forfetizza e contiene le somme dovute al lavoratore per il periodo precedente alla costituzione del rapporto, limitandole alla corresponsione di un’indennità omnicomprensiva di importo compreso tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (per la natura di questa indennità, si veda da ultimo Cass., 10 maggio 2022, n. 14840, con commento di Aristei, La conversione del contratto a termine ed il risarcimento del danno quale ristoro integrale del pregiudizio subito dal lavoratore, in Labor, 22 aprile 2023).

Si premette, innanzitutto, che nonostante l’avvenuta abrogazione del comma 5 dell’art. 32 l. 183/2010 la questione è ancora del tutto attuale nell’ordinamento, posto che la norma è stata semplicemente ritrascritta, per ragioni di coerenza sistematica, nell’art. 28, comma 2, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (e, per quanto riguarda la somministrazione di lavoro a tempo determinato, nell’art. 39, comma 2, d.lgs. 81/2015).

Il tema era stato trattato per la prima volta dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza Cass., 3 agosto 2018, n. 20500, che aveva dichiarato l’applicabilità dell’art. 32, comma 5, l. 183/2010 alla fattispecie di riqualificazione del rapporto autonomo a termine in rapporto subordinato: secondo la Suprema Corte, infatti, coerentemente il ragionamento del Giudice di merito aveva dapprima riqualificato il rapporto da autonomo in subordinato e, successivamente, dichiarato invalido il termine apposto al rapporto stesso (in quanto palesemente privo dei requisiti previsti dalle norme sul contratto a tempo determinato), così sortendo, con questo secondo passaggio logico, l’applicabilità della norma che prevede la forfetizzazione dell’indennità dovuta al lavoratore per i casi di conversione del contratto a termine illegittimo in rapporto a tempo indeterminato.

La giurisprudenza antecedente di riferimento (opportunamente ricostruita in Di Paola, L’indennità “omnicomprensiva” per il caso di conversione del contratto a tempo determinato si applica anche al lavoro autonomo a termine, in IUS Lavoro, 22 ottobre 2018) aveva in effetti riconosciuto l’applicabilità dell’art. 32, comma 5, l. 183/2010 a fattispecie diverse dalla conversione del contratto a tempo determinato in indeterminato, quali la costituzione del rapporto tra lavoratore somministrato a tempo determinato e utilizzatore (Cass., 1 agosto 2014, n. 17540) e il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in luogo di un contratto di formazione e lavoro (Cass., 21 giugno 2018, n. 16435).

In anni successivi, tuttavia, la Suprema Corte è tornata sui propri passi e, per la specifica ipotesi qui di interesse, ha rilevato che la stessa non poteva farsi rientrare nell’ambito di applicazione della norma, posto che la riqualificazione del rapporto di lavoro autonomo in rapporto di lavoro subordinato implicava un’operazione giuridica estranea alla ratio e alla lettera dell’art. 32 l. 183/2010, che contemplava unicamente ipotesi di “conversione” e non menzionava i rapporti di lavoro puramente autonomi. La prima pronuncia in tal senso, Cass., 17 dicembre 2020, n. 29006, si premurava di specificare che, viceversa, l’applicabilità della norma alla fattispecie di illegittimità del contratto di collaborazione coordinata e continuativa (che pure è certamente un rapporto di prestazione autonoma e non subordinata) trovava il suo fondamento unicamente nella menzione espressa di tale fattispecie nell’art. 32, comma 3, lett. b), l. 183/2010.

La successiva giurisprudenza di legittimità, ivi compresa la pronuncia in commento e il suo ultimo precedente Cass., 10 febbraio 2023, n. 4134, ha confermato l’inapplicabilità della disciplina dell’indennità omnicomprensiva ai casi di riqualificazione del rapporto autonomo a termine in rapporto subordinato.

Le pronunce hanno richiamato il dato testuale dell’art. 32 l. 183/2010, che non menziona in alcun luogo i rapporti autonomi (fatta eccezione per il già espresso riferimento alle sole collaborazioni coordinate e continuative) e che certo non li ha voluti includere nella generica dicitura di cui al comma 4, lett. d), di “accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto”: con tutta evidenza, infatti, nel rapporto autonomo pur illegittimo non vi è questione circa le parti contrattuali e la titolarità del rapporto.

Inoltre, la pronuncia in commento e il suo ultimo precedente hanno sottolineato la radicale differenza tra la fattispecie della “conversione”, che implica soltanto la rimozione del termine illegittimamente apposto e la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, e quella della “riqualificazione”, in cui un rapporto autonomo perde la propria natura ritenuta non genuina e viene riconosciuto ab origine come un rapporto del tutto diverso, appunto di natura subordinata.

Infine, viene anche richiamato il dato sistematico (sopravvenuto ex post) per cui, ad oggi, la norma sostanziale inizialmente contenuta dell’art. 32, comma 5, l. 183/2010 si ritrova all’interno della disciplina dei rapporti a tempo determinato, rispettivamente contratto a termine e somministrazione, come sopra già richiamato (artt. 28, comma 2, e 39, comma 2, d.lgs. 81/2015), così rendendo chiara la volontà del legislatore di collegarne strettamente l’applicabilità alle fattispecie di conversione di un rapporto per illegittimità del termine apposto.

L’elaborazione giurisprudenziale ormai consolidata, e confermata dalla pronuncia in commento, ha richiamato come proprio fondamento anche l’importante sentenza C. cost., 11 novembre 2011, n. 303, su varie questioni di legittimità costituzionale dei commi 5 e 6 dell’art. 32 l. 183/2010, incentrate, in estrema sintesi e semplificazione, sulla legittimità della previsione, nei casi indicati dalla norma, di una indennità omnicomprensiva che avrebbe limitato e forfetizzato il risarcimento/ripristino del danno subìto dal lavoratore.

Per quanto qui di interesse, la Corte Costituzionale, nel dichiarare infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, ha sottolineato la diversità esistente tra la situazione di un contratto viziato in una sua sola clausola, l’apposizione del termine, e altre fattispecie di vizio caratterizzanti rapporti di lavoro illegittimamente sorti.

Su questo medesimo presupposto, la Corte di Cassazione, nella pronuncia in commento e nei suoi precedenti citati, ha ritenuto inapplicabile, all’ipotesi di riqualificazione in lavoro subordinato del rapporto autonomo illegittimo, viziato dunque integralmente nella sua natura e riconosciuto ab origine come non genuino nella sua veste giuridica, una norma dedicata invece alle situazioni in cui un rapporto subordinato, sorto correttamente quanto alla sua natura, risulti poi viziato in una sola della sue clausole, ossia l’apposizione del termine.

Il ragionamento della Suprema Corte, che segue una logica puntualmente ancorata alla totale alterità tra lavoro autonomo e lavoro subordinato e all’incompatibilità della veste formale del primo con la natura sostanziale del secondo, esclude dunque che l’instaurazione scorretta e illegittima di un rapporto non correttamente qualificato nella sua natura possa beneficiare di una norma limitativa delle conseguenze risarcitorie, ma anche sanzionatorie, in capo al datore di lavoro/utilizzatore.

Sabrina Grivet Fetà, dottore di ricerca e avvocato specialista in diritto del lavoro in Reggio Emilia

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 11 gennaio 2024, n. 1134

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