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La discutibile prassi erariale sulla natura reddituale dell’indennità risarcitoria onnicomprensiva corrisposta al lavoratore

24 Giugno 2024|

1. Premessa: i fatti oggetto della risposta ad interpello in rassegna

La risposta ad interpello del 6 giugno 2024, n. 130, riguarda il corretto trattamento fiscale da riservare all’indennità risarcitoria onnicomprensiva, di cui all’art. 39, comma 2, del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, corrisposta dal datore di lavoro al lavoratore, a seguito di una pronuncia giudiziale di condanna.

La società istante è una società a partecipazione pubblica che, a seguito di un’operazione di fusione per incorporazione, ha acquisito un’altra società, la quale, nel corso del tempo, si era avvalsa di manodopera anche mediante il ricorso a contratti di somministrazione di lavoro.

A fronte di un giudizio instaurato da una ex lavoratrice avverso la società incorporante, volto ad ottenere un risarcimento del danno per illegittimità dei contratti di somministrazione di lavoro, di lavoro somministrato e delle rispettive proroghe, il giudice del lavoro ha emesso una sentenza di condanna al pagamento in favore della lavoratrice di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, nella misura di 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Tale norma, invero, prevede che, qualora il giudice accolga la domanda del lavoratore, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno, stabilendo un’indennità onnicomprensiva del pregiudizio subito dal lavoratore nell’ambito di una misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

Nella sentenza di condanna, il giudice del lavoro, rigettando le doglianze avanzate dalla lavoratrice, non ha ritenuto assimilabile le società a partecipazione pubblica agli enti pubblici con conseguente inapplicabilità del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, salvo per l’obbligo di esperimento delle procedure concorsuali o selettive. Pertanto, secondo la società istante, non essendo applicabile la disciplina prevista in materia di pubblico impiego, il danno risarcibile non sarebbe configurabile quale “perdita di chance” di un’occupazione alternativa migliore, bensì finalizzato a reintegrare la mancata percezione di un reddito.

 2. La soluzione prospettata dall’Agenzia delle Entrate

Con la risposta ad interpello n. 130 del 2024, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sul trattamento fiscale da riservare all’indennità risarcitoria onnicomprensiva, di cui all’art. 39, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, riconosciuta alla lavoratrice, chiedendo la società istante, in qualità di sostituto di imposta, se avesse dovuto assoggettarla a tassazione o meno, fermo restando che, a parere dell’istante, il danno risarcibile de quo sarebbe stato funzionale a reintegrare la mancata percezione del reddito.

L’Agenzia delle Entrate ha, dapprima, richiamato l’art. 51, comma 1, del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), e, in seguito l’art. 6 del TUIR.

L’art. 51, comma 1, del TUIR prevede che il reddito di lavoro dipendente è costituito da “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”. Tale disposizione, come noto, prevede il principio di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, in base al quale costituiscono reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori che il dipendente percepisce, anche da terzi, nel periodo di imposta, a qualunque titolo ed anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

Sul punto, si veda Crovato, Il lavoro dipendente nel sistema delle imposte sui redditi, Padova, 2001, 99 ss.; Della Carità, Il trattamento fiscale degli omaggi ai dipendenti, in Fisco, 2006, I, 102 ss.; Marianetti, Non imponibilità delle somme erogate al dipendente nell’interesse del datore di lavoro, in Fisco, 2016, XXXXIII, 4148 ss.; Marianetti – D’Ambrosio, Carried interest: regime fiscale da verificare caso per caso se non sono rispettate le condizioni, in Corr. trib., 2017, XXXXV, 3499 ss.).

Quanto all’art. 6, comma 2, del TUIR, i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.

In argomento, possiamo richiamare i contributi di: Stevanato, Dividend washing e usufrutto su azioni: riflessioni “a caldo” su sostituzione dei redditi, simulazione ed elusione tributaria, in Rass. trib., 1999, V, 1496 ss.; Piccone Ferrarotti, Sull’applicabilità dell’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 al cosiddetto dividend washing, in Rass. trib., 2000, III, 933 ss.; Donatelli, Minime sulla tassazione del danno biologico, in Rass. trib., 2005, II, 592 ss.; Stancati, Non imponibilità delle somme risarcitorie per il danno all’immagine, in Corr. trib., 2009, XXV, 2015 ss.)

In linea di principio, le indennità corrisposte a titolo risarcitorio sono da assoggettare a tassazione allorché abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percettore. Il regime di imponibilità viene, perciò, riservato a tutte quelle somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni, sia presenti che futuri, del lavoratore (c.d. “lucro cessante”).

Di converso, le indennità risarcitorie erogate al fine risarcire la perdita economica subita non assumono alcun rilievo ai fini reddituali (c.d. “danno emergente”) (cfr. Agenzia delle Entrate, risoluzione 27 maggio 2002, n. 155/E, 2; Agenzia delle Entrate, risoluzione 7 dicembre 2007, n. 356/E, 3; Agenzia delle Entrate, risoluzione 22 aprile 2009, n. 106/E, 5. Similia, Cass., Sez. V, 21 febbraio 2019, n. 5108; Cass., Sez. V, 9 maggio 2022, n. 14671).

In quest’ultima ipotesi, viene meno il presupposto impositivo, assumendo l’indennizzo carattere risarcitorio del danno riconosciuto al soggetto leso, e non si ravvisa alcuna funzione sostitutiva o integrativa di eventuali trattamenti retributivi.

L’Amministrazione finanziaria ha precisato che, in assenza della prova e dell’esistenza del danno da parte del lavoratore in caso di indennità erogata in ambito transattivo, che tenga ferma la cessazione del rapporto di lavoro, si presume che alla stessa sia attribuita natura di ristoro della perdita di retribuzione, venendo in rilievo una forma di risarcimento del danno qualificabile come “lucro cessante” (cfr. Cass., Sez. V, 24 settembre 2003, n. 14167; Cass., Sez. V, 12 gennaio 2009, n. 360). Sicché, in base a tale orientamento, graverebbe in capo al contribuente l’onere di provare che la somma corrispostagli dal datore di lavoro, a conclusione del rapporto di lavoro, abbia natura di risarcimento da perdita economica (e, come tale, non tassabile) e non di retribuzione non corrisposta (e, come tale, invece, tassabile).

Nel caso de quo, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che, in ragione della natura onnicomprensiva dell’indennità di cui all’art. 39, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, l’indennità risarcitoria corrisposta dalla società istante fosse qualificabile quale risarcimento del danno consistente nella perdita di redditi di lavoro dipendente. Questa indennità avrebbe la finalità di fornire un ristoro al lavoratore per l’intero pregiudizio subito, incluse le conseguenze retributive e contributive, configurando, ai fini tributari, un emolumento sostitutivo dei redditi (di lavoro dipendente), ai sensi dell’art. 6, comma 2, del TUIR.

Sennonché, atteso che, ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. b), del TUIR, l’imposta si applica separatamente sugli emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, l’Agenzia delle Entrate ha ricondotto l’indennità de qua nell’ambito del regime di tassazione separata.

3. La (corretta) qualificazione fiscale dell’indennità risarcitoria onnicomprensiva, di cui all’art. 39, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015

La società istante aveva ritenuto che l’indennità risarcitoria onnicomprensiva, di cui all’art. 39, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, fosse assimilabile all’indennità prevista dall’abrogato art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183.

Quest’ultimo, invero, prevedeva che nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice avrebbe condannato il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto del lavoratore.

L’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 è stato trasfuso nell’art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, per quanto concerne i rapporti di lavoro dipendente, e nell’ art. 39, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, per quanto attiene alla somministrazione di lavoro irregolare (cfr. Cester, Dopo la sentenza su trasferimento d’azienda o appalto illegittimi: risarcimento del danno o retribuzione?, in ADL, 2018, III, 769 ss.).

Sono più che evidenti, dunque, le forti similitudini tra l’art. 39, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015 e l’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010; ed infatti, salvo lievi discostamenti, in entrambi i casi, viene in rilievo un’indennità onnicomprensiva parametrata nel quantum, sulla base di determinati criteri, all’ultima retribuzione del lavoratore in funzione di ristoro dell’intero pregiudizio da questi subito.

Sulla questione si è pronunciata, sebbene incidentalmente, la giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’indennità risarcitoria concessa ai sensi dell’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, ha natura risarcitoria da perdita di chance estranea ai rapporti di lavoro e, ai fini tributari, priva di rilevanza impositiva (cfr. Cass., Sez. V, 12 ottobre 2018, n. 25471; Cass., Sez. VI, 23 ottobre 2019, n. 27011; Cass., Sez. V, 12 giugno 2024, n. 16320). Benché determinata in relazione ad un certo numero di mensilità non corrisposte, tale indennità persegue una finalità esclusivamente risarcitoria.

La perdita di chance realizza, come noto, il ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale, che è priva di natura reddituale (cfr. Lancia, La Corte di Cassazione conferma la non imponibilità del risarcimento del danno per perdita di chance, in Labor, www.rivistalabor.it, 9 giugno 2022; Id., Ulteriori conferme dalla giurisprudenza di legittimità sulla non imponibilità del risarcimento del danno per perdita di chance, sempre  in Labor, www.rivistalabor.it, 18 marzo 2023; Id., Non imponibile il risarcimento del danno corrisposto al lavoratore ex art. 36, comma 5, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ivi, 20 aprile 2023).

Del pari, alle medesime conclusioni sembra potersi giungere rispetto all’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, anche laddove ci si trovi al di fuori dei rapporti regolati interamente dal d.lgs. n. 165 del 2001. D’altronde, l’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 è stato ritenuto essere una «fattispecie omogenea, sistematicamente coerente e strettamente contigua» a quella regolata dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 (cfr. Cass., S.U., 15 marzo 2016, n. 5072).

In relazione all’indennità de qua, la giurisprudenza di merito ha precisato che il danno patito oggetto di ristoro «[…] va qualificato quale danno emergente, concretizzandosi in una perdita di chance (la stabilizzazione invece della precarietà occupazionale sofferta), rivestendo quindi una natura risarcitoria […] ed in quanto tale non assoggettabile a tassazione, perché non costituente reddito, anche perché percepita in assenza di una corrispondente controprestazione lavorativa» (cfr. CGT di II Grado del Lazio, Sez. I, 26 gennaio 2023, n. 394). Sicché, all’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 sembra ascrivibile natura risarcitoria da danno emergente, configurando una “perdita di chance” non assoggettabile a tassazione, poiché non costituente reddito.

Una tale indennità non avrebbe potuto in alcun modo essere qualificata come sostitutiva o integrativa della retribuzione e ritenuta fiscalmente rilevante ai sensi dell’art. 6, comma 2, del TUIR. Vale, inoltre, la pena specificare che la Corte Costituzionale ha ritenuto sussistente nell’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 una natura sanzionatoria nei confronti del datore di lavoro, essendo dovuta anche laddove il lavoratore avesse trovato un altro impiego presso un diverso datore di lavoro e, dunque, altre fonti di reddito (cfr. Corte Cost., 9 novembre 2011, n. 303). Di talché, il danno patito dal lavoratore sarebbe stato privo di una qualsiasi funzione sostitutiva o integrativa di trattamenti retributivi.

Il medesimo discorso può compiersi, mutatis mutandis, rispetto all’indennità di cui all’art. 39, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015 che è, sostanzialmente, analoga a quella dell’abrogato art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010. Specialmente nelle ipotesi in cui vi sia stato un illegittimo impiego del contratto di lavoro a termine, persino in via prolungata, il danno patito dal lavoratore si ravvisa in una effettiva perdita di chance, a causa della perdita di altre occasioni di lavoro stabile (cfr. Nalis, Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 5072 del 15 marzo 2016, danno risarcibile per abusivo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato nell’ambito del lavoro pubblico contrattualizzato, in Riv. dir. amm., 2016, p. 1 ss.).

 4. Conclusioni

La soluzione prospettata dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 130 del 2024 non sembra essere condivisibile per diverse ragioni.

Muovendo dall’identità sostanziale tra l’indennità di cui all’art. 39, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015 e quella prevista dall’abrogato art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, sembra possibile concludere che entrambe abbiano la medesima natura. L’indennità risarcitoria, disciplinata dall’art. 39, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, avrebbe, dunque, natura risarcitoria da perdita di chance, non configurando un reddito sostituivo del reddito di lavoro dipendente. Inoltre, tale indennità viene percepita in assenza di una corrispondente controprestazione lavorativa.

Tra l’altro, nel caso di specie, la lavoratrice ha chiesto al giudice del lavoro di accertare e dichiarare l’illegittimità dei contratti di somministrazione di lavoro, di lavoro somministrato e delle rispettive proroghe. La lavoratrice ha, quindi, chiesto l’accertamento di un danno da perdita di chance derivante da un uso costante e ripetuto nel tempo del contratto di lavoro tale da aver determinato la perdita di ulteriori opportunità lavorative.

D’altra parte, il giudice del lavoro ha riconosciuto un’indennità risarcitoria che, in ragione della richiesta avanzata dalla parte lesa, avrebbe dovuto essere intesa quale indennità volta a risarcire la perdita economica subita, priva di qualsivoglia funzione sostitutiva o integrativa di eventuali trattamenti retributivi.

A differenza della conclusione raggiunta dall’Agenzia delle Entrate, fondata su un approccio particolarmente formalistico, sembra più opportuno ritenere che l’indennità de qua sia priva di natura reddituale, non configurando una forma sostitutiva della retribuzione.

Riccardo Lancia, avvocato in Roma e dottorando di ricerca in diritto tributario

Visualizza il documento: Agenzia delle entrate, risposta ad interpello 6 giugno 2024, n. 130

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