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La Corte di Cassazione conferma che il lavoratore non può richiedere all’Inps l’accredito dei contributi non versati dal datore di lavoro

25 Aprile 2024|

Com’è noto, l’art. 2116 cod. civ. (Prestazioni) stabilisce che:

“Le prestazioni indicate nell’articolo 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali”.

“Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro”

A sua volta l’art. 27 del RDL n. 636/1939 (convertito dalla legge n. 1272/1939) dispone che:

“Il requisito di contribuzione stabilito per il diritto alle prestazioni di vecchiaia, invalidità e superstiti, si intende verificato anche quando i contributi non siano effettivamente versati, ma risultino dovuti nei limiti della prescrizione decennale. Il rapporto di lavoro deve risultare da documenti o prove certe.

I periodi non coperti da contribuzione di cui al comma precedente sono considerati utili anche ai fini della determinazione della misura delle pensioni.”

Infine, l’art. 13 della legge n. 1338/1962, a sua volta, dispone che:

“Ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’articolo 55 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.

La corrispondente riserva matematica è devoluta, per le rispettive quote di pertinenza, all’assicurazione obbligatoria e al Fondo, di adeguamento, dando luogo alla attribuzione a favore dell’interessato di contributi base corrispondenti, per valore e numero, a quelli considerati ai fini del calcolo della rendita.

La rendita integra con effetto immediato la pensione già in essere; in caso contrario i contributi di cui al comma precedente sono valutati a tutti gli effetti ai fini della assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.

Il datore di lavoro è ammesso ad esercitare la facoltà concessagli dal presente articolo su esibizione all’Istituto nazionale della previdenza sociale di documenti di data certa, dai quali possano evincersi la effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonché la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato.

Il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all’Istituto nazionale della previdenza sociale le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente. 

Per la costituzione della rendita il datore di lavoro, ovvero il lavoratore allorché si verifichi l’ipotesi prevista al quarto comma, deve versare all’Istituto nazionale della previdenza sociale la riserva matematica calcolata in base alle tariffe che saranno all’uopo determinate e variate, quando occorra, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentito il Consiglio di amministrazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale.” (

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 568/1989, “la illegittimità costituzionale dell’art. 13, quarto e quinto comma, legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento di pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, vecchiaia e superstiti), nella parte in cui, salva la necessità della prova scritta sulla esistenza del rapporto di lavoro da fornirsi dal lavoratore, non consente di provare altrimenti la durata del rapporto stesso e l’ammontare della retribuzione.”.

Stiamo parlando delle disposizioni di cui sopra garantiscono il c.d. principio di automaticità delle prestazioni a favore del lavoratore, espressione del principio di solidarietà sociale e la cui ratio è quella di consentire al lavoratore, qualora ne ricorrano i presupposti, di eliminare, attraverso la costituzione della rendita vitalizia, il detrimento pensionistico conseguente all’omesso versamento dei contributi dovuti (v. Cass. n. 2164/2021).

Qualora il datore di lavoro ometta di versare i contributi per oltre un anno e tali omissioni non siano più sanabili per intervenuta prescrizione il lavoratore può agire contro l’ente previdenziale al fine di ottenere la regolarizzazione della propria posizione contributiva?

Con l’ordinanza n. 26248/2023, la Corte di cassazione ha risposto negativamente, in ragione del fatto che il nostro ordinamento non prevede un’azione dell’assicurato (id est, il lavoratore) diretta a condannare l’Inps alla “regolarizzazione” della sua posizione contributiva, azione non prevista neppure nell’ipotesi in cui l’ente, edotto dell’inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine di prescrizione, non si sia tempestivamente attivato per l’adempimento nei confronti del datore di lavoro.

In queste ipotesi il lavoratore gode unicamente del rimedio risarcitorio ex art. 2116 cod. civ. e della facoltà di chiedere all’Inps la costituzione della rendita vitalizia ex art. 13 della legge n. 1338/1962 (rendita che non costituisce una prestazione previdenziale, ma soltanto un meccanismo previsto dalla legge per rimediare all’inadempimento del datore di lavoro alla propria obbligazione contributiva e ai danni che siano derivati al lavoratore).

Sul tema è più recentemente tornata la Suprema Corte con la sentenza 9 gennaio 2024, n. 701, nell’ambito di una controversia avviata nei confronti dell’Inps per la regolarizzazione della posizione contributiva del lavoratore ricorrente, con accreditamento dei contributi omessi dall’ex datore di lavoro certificati nell’estratto conto assicurativo.

Nei due sottostanti giudizi di merito la richiesta azionata dal lavoratore era stata respinta.

Più in particolare, la Corte d’appello di Genova, pur ritenendo che la contribuzione relativa al periodo in contestazione non si fosse prescritta, ha reputato, sulla scorta di quanto affermato da Cass. n. 2164/2021, che –al di fuori delle specifiche ipotesi previste dalla legge, ad es. in tema di ricongiunzione delle posizioni assicurative– nessuna azione potesse riconoscersi al lavoratore per ottenere l’accredito dei contributi da parte dell’ente previdenziale, residuando semmai in suo favore l’azione risarcitoria di cui all’art. 2116, co. 2, cod. civ. nonché la speciale azione volta alla costituzione della rendita vitalizia di cui all’art. 13 della legge n. 1338/1962.

Con l’unico motivo di censura, il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2116 cod. civ. e 27, co. 2, del R.D.L. n. 636/1939 (nel testo risultante dalla modifica apportata dall’art. 23-ter del D.L. n. 267/1972, convertito dalla legge n. 485/1972, e rafforzato dall’art. 3 del d.lgs. n. 80/1992), nonché dell’art. 54 della legge  n. 88/1989, per avere la Corte, ha chiesto alla Corte regolatrice se:

  • dall’art. 2116, co. 1 cod. civ. e dall’art. 54 della legge n. 88/1989, derivi il diritto del lavoratore all’integrità della posizione contributiva già costituita mediante accredito automatico dei contributi non prescritti il cui versamento sia stato omesso in tutto o in parte dal datore di lavoro, ai fini della percezione delle prestazioni previdenziali di cui all’art. 2114 cod. civ.;
  • di conseguenza tale diritto possa essere esercitato nei confronti dell’ente previdenziale che, malgrado la denuncia di omissione del lavoratore, sia rimasto inerte senza provvedere alla riscossione eventualmente coattiva del proprio credito contributivo dovuto dalla società datrice di lavoro;
  • tale diritto possa e debba essere esercitato anche prima del maturare dei requisiti per le relative prestazioni previdenziali, una volta accertato il mancato versamento dei contributi prima dello spirare del termine di prescrizione;
  • in ogni caso, nel giudizio nei confronti dell’ente previdenziale, il diritto alla copertura contributiva di periodi di omesso versamento in relazione ai quali non è spirato il termine di prescrizione possa e debba essere accertato mediante l’integrazione del contraddittorio con il datore di lavoro, indipendentemente dal maturare di una determinata prestazione previdenziale.

La sentenza in commento, nel ritenere il ricorso infondato, premette che, come correttamente ricordato dalla corte territoriale, nella giurisprudenza di legittimità si è ormai consolidato il principio di diritto secondo cui il nostro ordinamento non prevede alcuna azione dell’assicurato volta a condannare l’ente previdenziale alla regolarizzazione della sua posizione contributiva, nemmeno nell’ipotesi in cui l’ente previdenziale, che sia stato messo a conoscenza dell’inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine di prescrizione, non si sia tempestivamente attivato per l’adempimento nei confronti del datore di lavoro obbligato: ciò che residua in tali casi in favore dell’assicurato è unicamente il rimedio risarcitorio nei confronti del datore di lavoro di cui al secondo comma dell’art. 2116 cod. civ., salva la possibilità del lavoratore di surrogarsi in luogo del datore (e di esser tenuto indenne da quest’ultimo) per la costituzione della rendita vitalizia di cui all’art. 13 della legge n. 1338/1962 (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 2164/2021 e n. 6722/2021, nonché Cass. n. 26002/2023 e n. 26248/2023, tutte sulla scorta di Cass. n. 6569/2010 e n. 3491/2014).

A ben vedere, si tratta di una conseguenza naturale della scomposizione della fattispecie dell’assicurazione obbligatoria nei due distinti rapporti contributivo e previdenziale; infatti, mentre l’obbligazione contributiva ha per soggetto attivo l’ente previdenziale e per soggetto passivo il datore di lavoro -che è debitore di tali contributi nella loro interezza (artt. 2115, co. 2, cod. civ. e 19 della legge n. 218/1952)-, il lavoratore è unicamente il beneficiario delle prestazioni previdenziali dovutegli dagli enti, restando del tutto estraneo al rapporto contributivo e non potendo vantare alcun diritto di natura risarcitoria nei confronti dell’ente medesimo, nemmeno nell’ipotesi in cui quest’ultimo non si sia tempestivamente attivato nei confronti del datore di lavoro per il loro recupero.

Ad avviso del collegio di legittimità, va senz’altro data continuità al precedente orientamento, con l’aggiunta di ulteriori argomentazioni.

L’indiscutibile interesse del lavoratore all’integrità della posizione contributiva (che la costante giurisprudenza di legittimità costruisce alla stregua di diritto soggettivo), pur essendo connesso sia geneticamente che funzionalmente al diritto di credito che l’ente previdenziale vanta sui contributi, è nondimeno affatto distinto da quest’ultimo: non solo perché sopravvive all’estinzione per sopraggiunta prescrizione del diritto dell’ente al versamento dei contributi medesimi, ma soprattutto perché, salva la speciale ipotesi di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 80/1992, ha come soggetto passivo unicamente il datore di lavoro, nei cui riguardi può esser fatto valere sub specie di diritto al risarcimento del danno (già Cass. n. 2392/1965, n. 1304/1971, n. 1374/1974, n. 7104/1992 e, più recentemente, n. 3661/2019 e n. 6311/2021).

A ciò va aggiunto che l’art. 2116, co. 1, cod. civ. riferisce testualmente l’automatismo alle “prestazioni”, non già alla contribuzione; anzi, la sua funzione consiste precisamente nel togliere ogni rilievo, nell’ambito del rapporto previdenziale, all’inadempimento datoriale verificatosi sul versante del rapporto contributivo, sul presupposto che, essendo il lavoratore estraneo a quest’ultimo, giammai potrebbe compiere atti idonei ad incidere sulla sua conformazione giuridica.

In conclusione, la sentenza in commento afferma i seguenti principi di diritto:

«Salvo il caso di ricongiunzione dei periodi assicurativi, di cui alla l. n. 29/1979, e salva altresì la speciale ipotesi di cui all’art. 3, d.lgs. n. 80/1992, il principio di automaticità delle prestazioni, di cui all’art. 2116, comma 1°, c.c., non comporta alcun accredito automatico dei contributi non prescritti il cui versamento sia stato omesso in tutto o in parte dal datore di lavoro, ma consiste nel garantire al lavoratore le prestazioni previdenziali cui ha diritto ai sensi dell’art. 2114 c.c. anche quando il datore di lavoro abbia omesso il pagamento dei contributi.»

«In ragione della tutela assicuratagli dal principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, di cui all’art. 2116, comma 1°, c.c., e di quella risarcitoria di cui all’art. 2116, comma 2°, c.c., il lavoratore, in caso di omissione contributiva da parte del datore di lavoro, non ha alcun diritto di agire nei confronti degli enti previdenziali per ottenere la regolarizzazione della propria posizione contributiva, nemmeno nel caso in cui tali enti,nonostante la sua denuncia, non abbiano provveduto alla recupero dei contributi dovuti dal datore di lavoro e questi si siano prescritti, potendo solo agire nei confronti del datore di lavoro ove l’inadempimento dell’obbligo contributivo abbia comportato la perdita delle prestazioni previdenziali.»

«L’art. 54, l. n. 88/1989, garantisce al lavoratore un diritto alla corretta informazione circa la consistenza della sua posizione contributiva, il quale,ove sia rimasto insoddisfatto a causa della mancata o non corretta determinazione da parte dell’ente previdenziale, può esser fatto valere in giudizio contro quest’ultimo esclusivamente in ordine alla responsabilità per i danni eventualmente derivati dall’inesatta informazione, non derogando in alcun modo tale disposizione alla norma di cui all’art. 2116 comma 2° c.c., secondo cui del danno da mancata o irregolare contribuzione, che si sia tradotto in una perdita totale o parziale delle prestazioni dovute al lavoratore ai sensi dell’art. 2114 c.c., è responsabile il datore di lavoro.»

«Sussiste litisconsorzio necessario iniziale tra lavoratore, datore di lavoro ed ente previdenziale, ai sensi dell’art. 102 c.p.c., solo in presenza di una domanda del lavoratore volta ad ottenere la condanna del datore di lavoro a versare all’ente i contributi omessi, in funzione della necessità di assicurare un risultato utile alla parte attrice, ma non anche allorché il lavoratore abbia convenuto in giudizio l’ente previdenziale allo scopo di ottenere la regolarizzazione della sua posizione contributiva, salva comunque la possibilità dell’ente di chiamare in causa il datore di lavoro per sentirlo condannare al pagamento dei contributi dovuti, ai sensi dell’art. 106 c.p.c., o del giudice di chiamare in causa il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 107 c.p.c., e fermo restando che, in tali casi, la decisione assunta dal primo giudice, involgendo valutazioni discrezionali, non è suscettibile né di appello né di ricorso per cassazione.»

In sintesi, quindi, il lavoratore, qualora vi sia stata omissione contributiva da parte del datore di lavoro, non ha alcun diritto di agire nei confronti degli enti previdenziali per ottenere la regolarizzazione della propria posizione contributiva, nemmeno nel caso in cui tali enti, nonostante la sua denuncia, non abbiano provveduto al recupero dei contributi dovuti.

Luigi Pelliccia, avvocato in Siena e professore a contratto di diritto della sicurezza sociale nell’Università degli Studi di Siena

Visualizza il documento: Cass., 9 gennaio 2024, n. 701

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