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La Corte d’Appello di Firenze si esprime sull’applicabilità di differenti contratti collettivi nell’ambito di una c.d. “catena di subappalti”

7 Maggio 2024|

Riepilogo dei fatti di causa e della vicenda di merito.

Con ricorso del 7 settembre 2021, una lavoratrice conveniva la società datrice di lavoro dinanzi al Tribunale di Arezzo esponendo di essere stata assunta in data 10 settembre 2018 con mansioni di addetta alle pulizie presso una struttura alberghiera; detta lavorazione veniva successivamente affidata in appalto dalla società convenuta ad una società terza, e da questa affidata in subappalto (si direbbe nel frasario moderno “a cascata”) ad un’altra.

Committente, appaltatrice e subappaltatrice avevano sottoscritto con i sindacati l’impegno ad assumere le cameriere già occupate nell’albergo e ad applicare loro il CCNL Turismo Federalberghi, che già precedentemente disciplinava il loro rapporto di lavoro.

La ricorrente lamentava, nello specifico, di essere stata assunta, in difformità rispetto alle sopracitate pattuizioni sindacali, con applicazione del CCNL denominato “Facility Management”, che prevede condizioni economiche deteriori  rispetto al CCNL Federalberghi, applicato sia dalla società presso cui stipulava l’originario contratto di lavoro, sia dalle altre due cooperative alle cui dipendenze veniva successivamente trasferita in forza del loro subentro nell’appalto; successivamente, tuttavia, la posizione veniva presa in carico da una quarta società con ulteriore subappalto, con applicazione del CCNL “Asiat Turismo UGL”.

La lavoratrice, alla luce di questa molteplicità di passaggi contrattuali, sosteneva di avere diritto all’applicazione del trattamento previsto dal CCNL Turismo Federalberghi applicato anche alle colleghe, sia ai sensi dell’art. 103 della l. regionale n. 86/2016, sia ai sensi dell’art. 2070, comma II, c.c., il quale, come noto, permette ai datori di lavoro di applicare più contratti collettivi diversi solo se i lavoratori esercitano attività distinte; mentre, nel caso in esame, le società in favore di cui la lavoratrice aveva prestato la propria attività applicavano contratti collettivi diversi a dipendenti che svolgevano la stessa attività, perpetrando così, nella ricostruzione attorea, un’ingiustificata disparità di trattamento.

La ricorrente deduceva ulteriormente la violazione dell’art. 36 Cost., in quanto il CCNL “facility managment” prevedeva una retribuzione decisamente inferiore rispetto a quella stabilita dal CCNL che le società avevano pattuito di applicare alle lavoratrici dipendenti, ritenendo che l’applicazione di detta, economicamente deteriore, fonte collettiva non costituisse parametro di una retribuzione proporzionata e sufficiente, come previsto dal richiamato dettato costituzionale; per rafforzare quanto sostenuto, allegava che la paga corrispostale non bastava ad assicurarle una sopravvivenza dignitosa, essendo la retribuzione percepita inferiore alla soglia di povertà calcolata secondo i criteri di aumento del costo della vita prodotti dall’ISTAT.
Domandava, infine, la declaratoria del suo diritto all’applicazione del predetto CCNL “Turismo – Federalberghi” e la conseguente condanna, ex art. 29 d.lgs. n. 276/2003, della committente dell’appalto al pagamento in suo favore delle differenze retributive maturate dall’assunzione fino al deposito del ricorso.

Costituitasi, la convenuta eccepiva preliminarmente la nullità del ricorso per genericità e carenza di prove, denunciando la mancata allegazione, da parte della ricorrente, di un apposito conteggio relativo al quantum  della differenza tra il trattamento economico ricevuto e quello che le sarebbe spettato; deduceva altresì l’infondatezza della domanda di applicazione di tale CCNL, essendo le cooperative subappaltatrici libere di applicare altri contratti collettivi alle dipendenti assunte successivamente, come la ricorrente, atteso che l’accordo prevedeva il mantenimento delle condizioni contrattuali già applicate per le lavoratrici assunte in precedenza, puntualizzando che il CCNL “Turismo Federalberghi” sarebbe comunque inapplicabile perché le cooperative subappaltatrici non svolgono attività alberghiera, ma effettuano pulizie in ambienti vari.

In riferimento a quanto domandato in merito alla retribuzione e alla sua entità, la convenuta evidenziava che il collocamento sotto la soglia dell’Istat doveva riferirsi non al trattamento economico tout court applicato, bensì alla natura a tempo parziale del contratto di lavoro de quo, in applicazione della previsione costituzionale per cui la retribuzione dei lavoratori subordinati, al di là del principio di sufficienza su cui meglio si dirà infra, deve essere proporzionata (anche) alla quantità del lavoro svolto: ed è evidente che il contratto part time prevede una “quantità” inferiore della prestazione offerta, da cui discende un inevitabile decalage della controprestazione economica del datore di lavoro che costituisce oggetto del contratto di lavoro (contratto sinallagmatico a titolo oneroso).

Il giudice di prime cure respingeva il ricorso, ritenendolo carente di allegazione per aver omesso il ricorrente di indicare nell’atto l’ammontare delle differenze retribuite rivendicate, né, parimenti, di aver richiesto di demandarne la quantificazione quantomeno ad un consulente tecnico d’ufficio, così vanificando il principio secondo cui il petitum della controversia debba essere chiaramente evidenziato.

Il giudizio d’Appello.

L’appellante, nelle sue censure alla sentenza di primo grado, si doleva, in primo luogo, che il Tribunale avesse rigettato il ricorso per l’asserita nullità dello stesso, lamentando che l’eventuale indeterminatezza degli elementi suddetti avrebbe potuto essere sopperita con l’esercizio del potere-dovere del giudice di autorizzare la ricorrente all’integrazione, ai sensi dell’art. 164 c.p.c.
Ulteriormente, argomentava in diritto che, avendo allegato la violazione dell’art. 36 Cost., non sarebbe stata necessaria un’esatta quantificazione patrimoniale delle spettanze, atteso che, nella ricostruzione dell’appellante, spettava al Tribunale l’individuazione di un parametro di sufficienza e di proporzionalità della retribuzione.

L’appello veniva ritenuto fondato dalla Corte gigliata (sentenza n. 728 del 22 dicembre 2023) perché enunciava con sufficiente determinatezza la causa petendi, individuata nella disparità di trattamento economico subìta dalla lavoratrice e nell’inadeguatezza del trattamento retributivo rispetto al principio di sufficienza della retribuzione sancito dalla norma programmatica di cui all’art. 36 Cost.; inoltre, entrambi i CCNL, quello effettivamente applicato e quello la cui applicazione veniva richiesta, risultavano prodotti in allegato all’originario ricorso, così da consentire la verifica e scrutinarne i profili quantitativi relativi alle differenze retributive, anche per mezzo, per l’appunto, di soggetti in tal senso indicati.

In particolare, tale ultima circostanza rendeva la mancata quantificazione delle differenze nel trattamento economico irrilevante ai fini del decisum, essendo sufficiente, all’uopo, la chiarezza del titolo della pretesa, essendo demandabile l’attività di esatta quantificazione ad una consulenza tecnica d’ufficio (cfr. Cass. 31 luglio 2014 n. 17501; Cass., 24 ottobre 2008 n. 25753).
Secondo la Corte d’Appello, doveva ritenersi infondato il richiamo della ricorrente all’art. 103 legge regionale Toscana n. 86/2012, atteso che tale norma prevede che: «Nell’esercizio delle attività di cui alla presente legge si applicano i relativi contratti collettivi nazionali di lavoro, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dalle associazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, e gli accordi sindacali di secondo livello»; trattandosi di una mera raccomandazione, il legislatore toscano non ha previsto sanzioni per la violazione della norma in esame, che dunque non poteva ritenersi cogente per la società in causa.

La pretesa della ricorrente veniva ritenuta degna di accoglimento sotto il profilo della necessaria applicazione del CCNL applicato al rapporto di lavoro delle altre dipendenti delle stesse società subappaltatrici, addette alle pulizie nello stesso albergo, in quanto, se pure l’assunzione fosse avvenuta in epoca successiva all’accordo di subappalto, era da escludere che dipendenti della stessa impresa che espletavano la stessa attività potevano essere inquadrati alla stregua di contratti collettivi diversi, ponendosi tale comportamento in contrasto con il dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro (e, in senso più ampio, al principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost., tale per cui a due situazioni identiche dovranno corrispondere due trattamenti identici).

Seguendo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, è compatibile con lo stato soggettivo di buona fede contrattuale (anche ai sensi e per gli effetti degli artt. 1175 e 1375 c.c.) la corresponsione ad alcuni dipendenti un trattamento di miglior favore in aggiunta alla retribuzione-base prevista dal CCNL applicato a tutti (cfr. Cass. 2 luglio 2020 n. 13617, che ha espresso la seguente massima di diritto: “In materia di trasformazione del rapporto di formazione e lavoro in rapporto di lavoro a tempo indeterminato è valida la previsione (…) di un salario di ingresso ridotto per i primi quindici mesi di rapporto a tempo indeterminato sia perché funzionale alla volontà delle parti collettive di incentivare la stabilizzazione del rapporto, sia perché nel lavoro privato, di regola, non opera il principio di parità del trattamento retributivo e la valutazione di adeguatezza della retribuzione al parametro dell’art. 36 Cost. va compiuta in relazione al cd. minimo costituzionale, senza che debbano essere valutati tutti gli elementi e gli istituti contrattuali che confluiscono nella retribuzione”); purtuttavia, tale principio non poteva applicarsi in toto nel caso di specie, in quanto venivano applicati due diversi contratti collettivi a lavoratrici addette alla stessa attività, in cui un parametro retributivo risultava significativamente deteriore rispetto all’altro, in violazione sia di norme specifiche (art. 2070 c.c.) sia per l’appunto di principi inalienabili del nostro ordinamento (art. 3 Cost.).

Veniva pertanto accertato il diritto della lavoratrice all’applicazione del CCNL Federalberghi, in accoglimento di quanto proposto in appello; le differenze retributive venivano calcolate, in concreto, prendendo in esame i parametri retributivi (anche, evidentemente, a livello di riverberi sugli istituti di retribuzione differita) corrispondenti al 6° livello del CCNL turismo Federalberghi, e non al 5° preteso dalla ricorrente, nella cui declaratoria delle mansioni rientrano le cameriere addette sia ai piani sia al servizio in sala, mentre la stessa eseguiva la propria attività solo ai piani, come ha dedotto in ricorso.

La Corte d’Appello ha provveduto dunque alla riforma della sentenza appellata, dichiarando il diritto della ricorrente all’applicazione del trattamento economico previsto dal CCNL Turismo Federalberghi e condannando la società a pagarle le differenze retributive a lei spettanti.

Luigi Antonio Beccaria, avvocato in Milano e docente aggiunto di diritto privato nell’Università degli studi di Milano

Visualizza il documento: App. Firenze, 22 dicembre 2023, n. 728

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