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La Cassazione perimetra i confini dell’utilizzo dei permessi di cui alla l. 5 febbraio 1992, n. 104, tra abuso del diritto e violazione della clausola generale di buona fede

17 Maggio 2024|

La pronuncia in commento (Cass., ordinanza 3 maggio 2024, n. 11999) si occupa del discusso tema dell’abuso (e dei confini del medesimo) nell’utilizzo dei permessi previsti dalla l. 5 febbraio 1992, n. 104, e regolamentati dall’art. 33 della medesima, in favore dei cc.dd. caregivers, ossia i lavoratori che si prendono cura di propri familiari diversamente abili.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione richiama un principio di diritto già affermato da Cass., 2 novembre 2023, n. 30462, e statuisce che «grava sul lavoratore la prova di aver eseguito la prestazione di assistenza in un luogo diverso da quello di residenza della persona protetta. Infatti, il permesso ex art. 33 della L. n. 104 del 1992 è riconosciuto al lavoratore in ragione dell’assistenza da prestare al disabile ed è rispetto ad essa che l’assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta, senza che il dato testuale e la “ratio” della norma ne consentano l’utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza. Ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari».

Tale statuizione della giurisprudenza di legittimità si colloca nel medesimo solco di alcuni precedenti, tra cui Cass., 13 marzo 2023, n. 7306, ove la Suprema Corte aveva riconosciuto che l’assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore non può intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita; tuttavia, essa deve comunque garantire al familiare disabile un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale nella sfera individuale e di relazione

In tal senso, v. Cass., ordinanza 18 ottobre 2021, n. 28606, in Labor, 20 maggio 2022, con nota di M. Caro, Sui criteri per stabilire la commissione di un abuso del diritto ai permessi ex l. n. 104/1992). Ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un «uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo» (Cass., 13 marzo 2023, n. 7306, cit. e richiamata anche in Labor, 24 marzo 2023, con nota di F. Avanzi, L’abuso dei permessi l. 104 e l’incerto “parametro” dell’obbligazione contrattuale. La stessa sentenza è commentata sempre in Labor, 14 giugno 2023, da R. Maurelli, I “furbetti della 104”: fruizione abusiva dei permessi per l’assistenza ai familiari disabili e anomalie del sistema).

Può essere interessante osservare come la Suprema Corte richiami, quasi alla stregua di espressioni intercambiabili, locuzioni in realtà diverse, quali «abuso del diritto» e «violazione dei doveri di correttezza e buona fede».

L’abuso del diritto, come noto, viene definito dalla più rilevante giurisprudenza quale «utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore» (Cass. civ., Sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106). Si tratta di un principio generale non solo nell’ambito dell’ordinamento nazionale, ma anche nel diritto eurounitario, ove tale divieto è annoverato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea tra i principi generali del diritto dell’Unione (C.G.U.E., 5 luglio 2007, causa C-321/05).

Può dirsi ormai superata la posizione di quanti negavano cittadinanza a tale figura argomentando, a seconda dei casi, dall’assenza, nel testo definitivo del codice civile, di una generale norma antielusiva (come pure era stato previsto all’art. 7 del progetto di codice civile e come ricorda Chiarella, Diritti reali di godimento, Esi, 2020, 181) o, sul piano della teoria generale, evidenziando che «il diritto soggettivo arriva fin dove comincia la sfera d’azione della solidarietà: quindi gli atti emulativi e gli altri non rispondenti alla buona fede o alla correttezza … non costituiscono un abuso, ossia uno sviamento del diritto; al contrario ne sono fuori, costituiscono un eccesso dal diritto e, in quanto tali, s’intende agevolmente che possano essere illeciti, secondo le norme generali» (F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, nona edizione (ristampa), Jovene, 2012, 77).

La letteratura sul punto è sterminata, così come la produzione scientifica concernente i rapporti tra clausola generale di buona fede e divieto di abuso. In via di estrema sintesi, può osservarsi che, mentre la giurisprudenza tende a sovrapporre i due profili, come risulta dalla trama argomentativa di alcune delle sentenze più rilevanti in materia, la dottrina tende a distinguerli attraverso molteplici argomentazioni.

Si è affermato, ad esempio, che mentre nell’abuso del diritto viene sindacato lo scopo per il quale il medesimo è stato esercitato dal titolare, nel caso di condotta contraria a buona fede «si censurano piuttosto le modalità … che per l’appunto possono essere tali da fare ritenere sleale la condotta del contraente» (D’Amico, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, nota a Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106, in I contratti, n. 1/2010, 22-23), senza necessario riferimento alle finalità perseguite.

Tuttavia, la giurisprudenza dominante continua a utilizzare le due espressioni alla stregua di sinonimi, come testimonia (anche) la sentenza in commento (già in questo senso Cass., ordinanza 25 maggio 2022, n. 16973, in Labor, 18 ottobre 2022, con nota di M. Palla, Ancora sull’abuso (ma non troppo) del permesso ex art. 33, comma 3, l. n. 104/1992).

Nel caso di specie, la Suprema Corte ritiene che la Corte territoriale abbia correttamente giudicato, con valutazioni in punto di fatto non sindacabili dal Giudice di legittimità, nel ritenere che le assenze dal domicilio non fossero funzionali alla cura, pure in senso lato, dell’invalida, né il lavoratore ha assolto l’onere della prova in senso contrario.

Dunque, configura abuso del diritto e violazione della clausola generale di buona fede il comportamento del fruitore dei permessi di cui alla l. n. 104/1992 che si dedichi a tutt’altra occupazione, la quale non sia causalmente collegata alla cura dell’invalida o alla necessità di “riprendere fiato” tra una commissione e l’altra (in questo senso anche Cass., ordinanza 2 ottobre 2018, n. 23891, sempre in Labor, 6 novembre 2018, con nota di F. Notaro, Fruizione indebita dei permessi legge n. 104/92 ed abuso del diritto; Cass., 25 settembre 2020, n. 20243, ivi, 28 ottobre 2020, con nota di D. Bellini, Il permesso ex art. 33 l. 104/1992 fruito direttamente dal lavoratore disabile non ha limiti funzionali: è illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore con handicap grave per aver utilizzato il permesso in attività diverse dalle mere esigenze di cura).

Infine, la Suprema Corte riconosce come tale condotta sia suscettibile, di per sé sola considerata, di configurare giusta causa di licenziamento senza alcuna violazione del principio di proporzionalità di cui all’art. 2106 c.c.

Infatti, la condotta abusiva del dipendente deve ritenersi senz’altro idonea a ledere il vincolo fiduciario che deve sorreggere il rapporto di lavoro, come già in passato affermato dalla giurisprudenza (in senso conforme, v. Cass., 16 giugno 2021, n. 17102).

Antonino Ripepi, Procuratore dello Stato in Reggio Calabria

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 3 maggio 2024, n. 11999

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