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La Cassazione conferma il proprio orientamento in tema di onere della prova e decadenza nel contenzioso previdenziale del lavoro agricolo

15 Maggio 2024|

Con due brevi ordinanze, sostanzialmente “gemelle” in quanto entrambe del 1° febbraio 2024, la Corte di cassazione, affrontando la tematica del lavoro agricolo ai fini previdenziali, è recentemente intervenuta in materia di onere della prova e di decadenza.

Il primo aspetto è stato trattato con l’ordinanza n. 3003/2024; il secondo con l’ordinanza n. 3009/2024.

Vediamone gli interessanti spunti di diritto.

Ordinanza n. 3003/2024. L’onere della prova.

Avendo la Corte d’appello di Salerno confermato la pronuncia di prime cure che, a sua volta, aveva rigettato la domanda di una lavoratrice tesa alla reiscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli in relazione alle 102 giornate lavorative effettuate in un precedente triennio, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura.

Nell’ordinanza in commento, la Suprema Corte ha ritenuto prioritario l’esame del terzo motivo di ricorso, quello con il quale era stata evocata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697, 2699 e 2094 cod. civ. per avere la Corte di merito ritenuto che gravasse sulla ricorrente l’onere della prova del rapporto di lavoro subordinato, ancorché l’interessata fosse stata regolarmente iscritta negli elenchi dei lavoratori agricoli.

Sul punto, viene evidenziato che è assolutamente consolidato il principio di diritto secondo cui la funzione di agevolazione probatoria dell’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli viene meno qualora l’Inps, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro che ne costituisce il presupposto, con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore che agisce in giudizio ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto di iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale che abbia fatto valere (così, tra le più recenti, Cass. nn. 12001/2018 e 31954/2019, sulla scorta di Cass., S.U., n. 1133/2000).

Nel dare continuità a detto principio di diritto, la Corte regolatrice ha più recentemente ribadito che (come perspicuamente chiarito già da Cass. n. 7995/2000) l’agevolazione probatoria garantita dall’iscrizione negli elenchi, che vale sul presupposto che non vi siano disconoscimenti, “non può mai giustificare alcuna inversione dell’onere della prova a carico dell’ente previdenziale che istituzionalmente è preposto al controllo della veridicità ed esattezza dei dati dichiaratigli dal datore di lavoro (come impropriamente si legge in Cass. S.U. n. 1133 del 2000, cit.)”.

Piuttosto, l’agevolazione probatoria costituita dall’iscrizione negli elenchi consiste nel fatto che, fintanto che sussiste, esime l’assicurato dalla prova dei presupposti di fatto utili al riconoscimento del diritto alle prestazioni previdenziali per gli operai agricoli, a meno che l’ente previdenziale convenuto in giudizio non contesti l’attendibilità delle risultanze documentali richiamando elementi di fatto la cui valutazione possa far sorgere dubbi circa l’effettività del rapporto di lavoro o del suo carattere subordinato, essendo tale contestazione, pur in presenza dell’iscrizione, affatto sufficiente ad escludere che il giudice possa risolvere la controversia in base al semplice riscontro dell’iscrizione ancora in essere, dovendo invece pervenire alla decisione valutando liberamente e prudentemente tutti gli elementi probatori acquisiti alla causa (v. Cass. n. 3556/2023).

Da qui, pertanto, il rigetto del ricorso.

Ordinanza n. 3009/2024. I termini di decadenza.

Avendo la Corte d’appello di Napoli confermato la pronuncia di prime cure che aveva dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza una domanda tesa alla reiscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli, successivamente all’avvenuta cancellazione conseguente al disconoscimento di un pregresso rapporto di lavoro, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo di censura con il quale veniva denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 22 del d.l. n. 7/1970 (convertito dalla legge n. 83/1970), e 17 del d.lgs. n. 124/2004, nonché dell’art. 14 prel. cod. civ., per avere la Corte di merito ritenuto che la decadenza conseguente al mancato adito giudiziale nel termine di cui al citato art. 22 dovesse estendersi anche al silenzio rifiuto formatosi a seguito dell’impugnazione in via amministrativa che fosse avvenuta non già ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 375/1993, ma altresì ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 124/2004 (come era accaduto nel caso di specie).

Nel premettere che, al riguardo, l’art. 22, co. 1, del d.l. n. 7/1970 stabilisce che “contro i provvedimenti definitivi adottati in applicazione del presente decreto da cui derivi una lesione di diritti soggettivi, l’interessato può proporre azione giudiziaria davanti al pretore nel termine di 120 giorni dalla notifica o dal momento in cui ne abbia avuto conoscenza”, l’ordinanza in commento rileva che, nell’interpretare tale disposizione, la Suprema Corte ha da tempo chiarito che l’inosservanza del termine di centoventi giorni per la proposizione dell’azione giudiziaria determina la decadenza sostanziale dell’assicurato (così, tra le più recenti, Cass. n. 17653/2020 e n. 40780/2021).

Del resto, l’art. 17 del d.lgs. n. 124/2004, nel disciplinare le modalità del ricorso amministrativo al Comitato regionale per i rapporti di lavoro presso la Direzione Regionale del Lavoro (ora Ispettorato Interregionale del Lavoro), stabilendo espressamente che, una volta decorso il termine di novanta giorni entro il quale il Comitato può pronunciarsi, “il ricorso si intende respinto”, detta una previsione affatto sovrapponibile a quella di cui all’art. 11, co. 2, del d.lgs. n. 375/1993, specificamente dettato in materia di “ricorsi in materia di accertamento di lavoratori agricoli”, ancorché l’organo competente a pronunciarsi sia la Commissione centrale per la manodopera agricola presso lo (ex) SCAU.

Ad avviso dell’ordinanza in commento. risultando evidente dal dato testuale dell’art. 22 del d.l. n. 7/1970 che la decadenza è collegata all’inutile decorso del termine di centoventi giorni dall’adozione di un provvedimento definitivo, risulta irrilevante che il ricorso amministrativo avverso il provvedimento di cancellazione sia stato proposto, ex art. 11 del d.lgs. n. 375/1993, avverso la Commissione centrale per la manodopera agricola, oppure, ex art. 17 del d.lgs. n. 124/2004, avverso il Comitato regionale per i rapporti di lavoro (come pacificamente accaduto nella fattispecie scrutinata), atteso che il procedimento amministrativo di revisione costituisce un mero presupposto esterno della fattispecie della decadenza prevista dall’art. 22 del d.l. n. 7/1970, che postula soltanto l’esistenza di un provvedimento definitivo lesivo di diritti.

Orbene, deve conseguentemente escludersi che l’applicazione dell’art. 22 del d.l. n. 7/1970 al caso in cui il procedimento amministrativo di riesame si sia svolto con le modalità di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 124/2004 possa costituire un’applicazione analogica della fattispecie della decadenza, ricollegandosi quest’ultima alla definitività del provvedimento di cancellazione e non già al procedimento amministrativo di revisione in virtù del quale tale definitività è maturata.

In ragione di ciò l’ordinanza in commento rileva che risulta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale (che parte ricorrente aveva prospettato in subordine), dal momento che la decadenza dalla potestà di impugnare la cancellazione non discende affatto dal combinato disposto dell’art. 22 del d.l. n. 7/1970 e dell’art. 17 del d.lgs. n. 124/2004, ma semplicemente dalla previsione dell’art. 22 del d.l. n. 7/1970, di per sé già ritenuta costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 192/2005, in relazione all’esigenza di accertare nel più breve tempo possibile la sussistenza del diritto all’iscrizione.

Da qui, pertanto, il rigetto del ricorso.

Luigi Pelliccia, avvocato in Siena e professore a contratto di diritto della sicurezza sociale nell’Università degli Studi di Siena

Visualizza i documenti: Cass., ordinanza 1° febbraio 2024, n. 3003; Cass., ordinanza 1° febbraio 2024, n. 3009

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