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Illegittimo il licenziamento del dipendente per possesso di 6 grammi di eroina

25 Giugno 2024|

Con la ordinanza 7 maggio 2024, n. 12306, la Suprema Corte ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento a suo tempo intimato ad un lavoratore dipendente per accertato possesso di sei grammi di eroina, applicando le regole prevalenti sulla conformazione del giudizio di proporzionalità della giusta causa intimata ex art. 2119 c.c. (sugli argomenti implicati, v. M. Palla, Ancora sulla nozione legale di giusta causa e sulla sua interazione con le norme disciplinari del CCNL in presenza di condotta penalmente rilevante: il cuoco sbadato che mal conserva gli alimenti destinati ai clienti, in Labor, 19 maggio 2024, a commento d Cass.3927/2024;  D. Serra, Sulla proporzionalità della sanzione disciplinare espulsiva rispetto all’illecito disciplinare contestato, ivi, 4 aprile 2024, a commento di Cass. 8956/2024; M. Aiello, Il principio di proporzionalità della sanzione a tutela del lavoratore licenziato per illecito disciplinare, ivi, 25 marzo 2024, a commento di  Cass. 27525/2023).

La Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale di Forlì, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato dalla società interessata al lavoratore, dichiarava risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento, condannando la società al pagamento di una indennità di importo pari a due mensilità della retribuzione utile per il calcolo del TFR.

La Corte distrettuale, segnatamente:

  • Osservava che il ricorrente, assunto come apprendista operaio il 4.4.2016, era stato licenziato il 12.9.2016 a seguito di contestazione disciplinare secondo la quale il 19.8.2016, in occasione di controllo stradale eseguito dai Carabinieri, sul suo veicolo erano stati rinvenuti sei grammi di eroina con conseguente denuncia per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio.
  • Riteneva che non vi fosse prova del fine di spaccio, tenuto conto del decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di Forlì in data 12.1.2017, in cui si affermava l’infondatezza della notizia di reato, in quanto la sostanza stupefacente sequestrata era da ritenersi per uso personale.
  • Escludeva la prova di danno all’immagine dell’azienda a seguito della pubblicazione della notizia su quotidiano a diffusione locale, perché avvenuta senza indicazione delle generalità del lavoratore e del datore di lavoro.
  • Valutava la gravità del fatto non tale da giustificare la sanzione del licenziamento per definitiva lesione del vincolo fiduciario.
  • Dato atto dei requisiti dimensionali del datore di lavoro, applicava la disciplina di cui all’art. 9, d.lgs. n. 23/2015 (anche tenuto conto della dichiarazione di illegittimità costituzionale del comma 1, dell’art. 3, di tale decreto) e si atteneva ai parametri risarcitori minimi, atteso il limitato periodo di durata del rapporto di lavoro.

Per la cassazione della predetta sentenza ricorre la società con tre motivi.

I motivi di cassazione

Con il primo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), la società deduce violazione degli articoli 115 c.p.c. e 2119 c.c., affermando che la condotta del resistente, pacifica e materialmente non contestata, andava ritenuta concretamente giusta causa di licenziamento.

Con il secondo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), deduce violazione degli articoli 2119, 2104, 2105, 2106, 2108 c.c., 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, per erronea valutazione della condotta del lavoratore, sostenendo che a torto la Corte territoriale l’ha valutata non concretante giusta causa di recesso, e formula: 1) specifica denuncia di incoerenza e irragionevolezza della motivazione rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale, nonché: 2) vizio di sussunzione, per irragionevole, incoerente, errata sussunzione del fatto specifico, ricadente invece nella clausola ex art. 2119 c.c., per la pacifica sussistenza del fatto.

Con il terzo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), deduce violazione dell’art. 10, lettera B), CCNL metalmeccanici industria, con riferimento all’art. 2119 c.c. che, sotto la rubrica “Licenziamento senza preavviso”, dispone che “in tale provvedimento incorre il lavoratore che provochi all’azienda grave nocumento morale o materiale”.

I motivi, trattati congiuntamente, sono stati dichiarati non fondati e il ricorso è stato rigettato.

Valutazione dei fatti in sede civile e penale

In effetti, sotto un preliminare profilo, la S.C. ribadisce l’autonomia della valutazione dei fatti posti a base di contestazione disciplinare in sede – giudiziale – civile rispetto alla valutazione degli stessi in sede – giudiziale – penale.

Oltremodo, va ritenuto pienamente operante il principio generale secondo cui il giudicato penale non preclude, in sede disciplinare, una nuova valutazione dei fatti accertati dal giudice penale.

In questi termini, per riportarsi al caso di specie, il giudicato di assoluzione non determina l’automatica archiviazione del procedimento disciplinare, perché non si può escludere che il fatto oggetto di giudicato può comunque integrare un inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare (fermo restando che il fatto non può essere ricostruito in termini difformi) (Cass. n. 30663/2023; n. 398/2023; n. 11948/2019; S.U. n. 14344/2015).

Tuttavia, la valutazione dei fatti come operata dal giudice penale non è irrilevante, posto che è assai differente il disvalore sociale e giuridico collegato alla detenzione di sostanze stupefacenti, anche pesanti, a fini di spaccio o per uso personale, e che la ricostruzione fattuale operata in sede penale, anche limitatamente alla fase delle indagini preliminari, è utilizzabile – quantomeno come prova atipica – da parte del giudice del lavoro (Cass. n. 26042/2023; n. 9507/2023).

Valutazione della gravità e proporzionalità della condotta

In tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività valutativa e sussuntiva del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.

In questo senso, la Corte di legittimità non può sostituirsi al giudice del merito nella attività suddetta di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n. 13534/2019 e giurisprudenza richiamata; n. 6827/2024; n. 30866/2023; n. 26043/2023).

Invero, la censura formulata dalla società ricorrente (secondo motivo), di incoerenza e irragionevolezza della motivazione rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale, si risolve, in buona sostanza, in un dissenso rispetto al decreto di archiviazione, cui è appunto seguita, nel secondo grado di merito, la valutazione di insussistenza di giusta causa ancorata all’esito del procedimento penale, ridimensionato rispetto all’originaria (e immutabile) contestazione disciplinare.

Pasquale Dui, avvocato in Milano e professore a contratto nell’università degli Studi di Milano-Bicocca

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 7 maggio 2024, n. 12306/2023

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