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Il giudice d’appello, nell’ipotesi di illegittimo rigetto dell’istanza di prova testimoniale da parte del giudice di primo grado, deve ammettere la prova e disporne l’assunzione

12 Giugno 2024|

In riforma della pronuncia di primo grado e previa ammissione delle prove orali rigettate dal giudice di prime cure, la Corte d’appello di Campobasso aveva rigettato l’opposizione proposta avverso l’atto di diffida e il verbale di accertamento con cui l’Inps aveva richiesto il pagamento di contributi omessi in danno di taluni lavoratori.

Il conseguente ricorso per cassazione veniva proposto deducendo tre motivi di censura.

Con l’ordinanza n. 6470 del 12 marzo 2024 la Suprema Corte ha rigettato il proposto gravame.

Le censure contenute nel ricorso.

Con il primo motivo veniva denunciata violazione degli artt. 420 e 421 cpc per avere la Corte territoriale ritenuta erronea la censura mossa al giudice di prime cure che aveva dichiarato l’Inps decaduto dalla prova per testi sul presupposto che non potesse assegnarsi, per la riformulazione dei capitoli di prova, un termine perentorio superiore a quello di cinque giorni di cui all’art. 421, co. 2, cpc.

Il secondo motivo lamentava invece l’omesso esame della (già proposta nel sottostante primo giudizio) censura di genericità del verbale di accertamento, per essersi l’ispettore dell’Istituto previdenziale limitato ad un elenco generico delle diverse fonti tipiche su cui può basarsi l’ispezione senza precisare quale fosse l’elemento cruciale da cui aveva ritratto il suo convincimento in ordine alla sussistenza degli addebiti.

Con il terzo motivo, infine, veniva rimarcata la violazione degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cpc per avere la Corte di merito fatto acriticamente proprie le risultanze del verbale ispettivo, attesa l’intervenuta decadenza dell’Inps dalla prova articolata nel corso del giudizio di primo grado e considerata la conseguente inutilizzabilità delle testimonianze erroneamente riammesse in sede di appello, pure in assenza di uno specifico potere di reviviscenza in grado di appello di un diritto ormai definitivamente estinto.

La decisione

Relativamente al primo motivo di ricorso (nella sostanza il punctum pruriens della decisione di legittimità) l’ordinanza in commento rileva che, nel riformare in parte qua la decisione di prime cure, la Corte territoriale ha rilevato che avesse errato il primo giudice a fissare per la riformulazione dei capitoli di prova un termine perentorio pari a dieci giorni, dovendosi invece applicare la previsione di cui all’art. 421, co. 2, cpc e, più nello specifico, il rinvio che tale disposizione opera nei confronti del precedente art. 420, co. 6, il quale com’è noto indica un termine perentorio “non superiore a cinque giorni prima dell’udienza di rinvio”, termine che, allo stato, l’Inps aveva pienamente rispettato.

Orbene, con riferimento alla censura secondo la quale il collegio di merito avrebbe erroneamente applicato il termine previsto dall’art. 421, co. 2, cpc per l’ammissione di nuove prove ad una fattispecie che, invece, era da qualificarsi in termini di integrazione e sanatoria delle richieste istruttorie già articolate, ex art. 421, co. 1, cpc, la decisione in commento rileva che, coma da precedenti di legittimità (v. Cass. S.U. n. 262/1997, seguita da innumerevoli successive conformi), è già stato chiarito che, nel rito del lavoro, qualora la parte abbia, con l’atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all’esercizio del potere-dovere di cui all’art. 421, co. 1, cpc.

E quindi, in sede di pronuncia dei provvedimenti istruttori di cui all’art. 420, il giudice, laddove ritenga l’esperimento del detto mezzo pertinente e rilevante ai fini del decidere, è tenuto a indicare alla parte istante la riscontrata irregolarità, che allo stato non consente l’ammissione della prova, assegnandole un termine per porvi rimedio ed applicando, a tal fine la particolare disciplina dettata dal sesto comma del medesimo art. 420, col corollario della decadenza nella sola ipotesi di mancata ottemperanza allo spirare di questo termine, espressamente dichiarato perentorio dal medesimo comma.

Brevi osservazioni a commento

Sulla scorta del principio più sopra richiamato, posto che nel rito del lavoro i fatti da allegare devono essere indicati in maniera specifica negli atti introduttivi, è stato ritenuto che il giudice, nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 421, co. 1, cpc, può assegnare alle parti un termine anche per rimediare alle irregolarità eventualmente rilevate nella capitolazione della prova testimoniale (v. Cass. n. 19915/2016; Cass. n. 48/2024), e che, quindi, la contraria opinione (espressa da Cass. n. 5950/2014), secondo la quale la possibilità di emendare ad una difettosa deduzione della prova testimoniale non sussisterebbe più in ragione dell’avvenuta abrogazione del terzo comma dell’art. 244 cpc ad opera dell’art. 89 della legge n. 353/1990, non merita di essere condivisa.

Sul punto, infatti, le Sezioni unite della Corte regolatrice hanno a suo tempo precisato che la peculiare combinazione propria del rito del lavoro tra principio dispositivo (che obbedisce alla regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova) e principio inquisitorio (che tende alla ricerca della verità reale mediante una rilevante partecipazione ed un’efficace azione del giudice nel processo), suggerisce “un criterio ermeneutico generale per l’identificazione dell’esatta portata del sistema delle preclusioni, nel senso di riconoscere l’attenuazione rispetto ad adempimenti di ordine formale che presuppongano già assolti tempestivamente gli oneri di allegazione immediatamente funzionali all’esigenza, tutelata dal sistema stesso, di una precisa delimitazione, prima dell’udienza di discussione, dei termini oggettivi della controversia e delle relative necessità istruttorie”, con la conseguenza che la possibilità di porre rimedio a lacune formali nella deduzione della prova per testi deve reputarsi “tutt[a] intern[a] al sistema del rito speciale e perciò senza che sia necessario ipotizzare l’operatività del terzo comma dell’art. 244c.p.c., che, […] abrogato dall’art. 89, l. n. 353/1990, prevedeva la possibilità che il giudice istruttore concedesse alla parte istante un termine perentorio per l’integrazione dell’istanza di ammissione della prova testimoniale” (così, in motivazione, Cass. S.U. n. 262 del 1997, cit.)”.

Ad avviso dell’ordinanza in commento, anche la riformulazione dei capitoli di prova, in quanto attività funzionale ad emendare una irregolarità che non consente allo stato l’ammissione della prova, può essere consentita, previa assegnazione del termine di cinque giorni prima dell’udienza di discussione previsto dall’art. 420, co. 6, cpc, con la conseguente decadenza della parte dalla prova nella sola ipotesi di mancata ottemperanza allo spirare di quel termine, espressamente dichiarato perentorio.

Da qui il conseguente principio di diritto (correttivo della motivazione di seconde cure impugnata) secondo il quale “il giudice d’appello, al quale venga denunciata l’illegittima sanzione di decadenza dall’istanza di prova testimoniale pronunciata in violazione dell’anzidetto principio, ove riscontri l’effettiva sussistenza del vizio, deve, coerentemente con l’effetto devolutivo del gravame e con la regola della conversione dell’invalidazione nell’impugnazione, trattenere la causa e provvedere sull’istanza di prova testimoniale, ammettendo, ove ricorra ogni altro necessario requisito, la prova stessa e disponendone l’assunzione conformemente al disposto dell’art. 437, 1° e 2° comma, c.p.c. (così, in termini, Cass. S.U. n. 262 del 1997, più volte cit.)”.

La dichiarata infondatezza del primo motivo ha determinato l’assorbimento del terzo, come detto, fondato sull’erroneo presupposto dell’intervenuta decadenza dell’Inps dalla prova articolata nel corso del giudizio di primo grado e della conseguente inutilizzabilità delle testimonianze ammesse in sede di appello.

Dichiarato invece inammissibile, per difetto di specificità, il terzo.

Luigi Pelliccia, avvocato in Siena e professore a contratto di diritto della sicurezza sociale nell’Università degli Studi di Siena

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 12 marzo 2024, n. 6470

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