Show Info

È illegittima l’automatica esclusione dell’autore di “piccolo spaccio” dall’emersione dal lavoro nero. Va accertata la sua pericolosità attuale

5 Giugno 2024|

Con la sentenza in commento (19 marzo 2023, n. 43), la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 103, co. 10, lett. c), d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni nella l. 17 luglio 2020, n. 77, nella parte in cui include fra i reati che comportano l’automatica esclusione dello straniero dalla procedura di emersione dal lavoro irregolare la fattispecie di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990.

Tale disposizione sanziona la produzione, il traffico e la detenzione illeciti di sostanze stupefacenti e psicotrope di lieve entità (c.d. reato di piccolo spaccio). Giova sottolineare che il reato de quo rientra tra le fattispecie criminose per le quali opera l’arresto facoltativo in flagranza, regola che il legislatore del 2020 ha impiegato per richiamare gli illeciti di minore gravità ai quali non si applica il predetto automatismo (art. 103, co. 10, lett. d), d.l. n. 34/2020).

Da una breve ricostruzione dei fatti di causa emerge che su istanza di regolarizzazione ex art. 103, co. 1, d.l. n. 34/2020 presentata da A.R.K., in qualità di datore di lavoro, veniva sottoscritto un contratto di soggiorno per lavoro subordinato domestico con S.B.S., lavoratore di nazionalità indiana soggiornante in Italia dal 2003. A distanza di mesi, con un provvedimento dello Sportello Unico per l’immigrazione, il contratto veniva annullato e l’istanza di emersione rigettata.

La ragione dell’annullamento e del rigetto si fondava sulla verifica compiuta dalla Prefettura di Novara circa le condanne riportate nel 2008 e nel 2009 dal lavoratore per il reato di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990. Avverso tale provvedimento il lavoratore presentava ricorso al Tar Piemonte.

Con ordinanza del 14 febbraio 2023, il tribunale adito sollevava con riferimento agli artt. 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, co. 10, lett. c), d.l. n. 34/2020.

La censura concerneva, in particolare, la parte in cui tale disposizione fa derivare il rigetto automatico dell’istanza di regolarizzazione dello straniero dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna, anche non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per il reato previsto dall’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990.

In primo luogo, il giudice rimettente riteneva che l’automatica esclusione dello straniero dalla procedura di emersione dal lavoro irregolare fosse contraria ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità (art. 3 Cost.). In effetti, al richiedente viene negata l’integrazione lavorativa e sociale per presunzione assoluta di pericolosità, a nulla rilevando la risalenza nel tempo della condanna e la sua storia personale, successiva alla espiazione della pena. La norma censurata non può dirsi neppure ispirata a un criterio di gradualità, che imporrebbe alla pubblica amministrazione di valutare in concreto la pericolosità sociale del soggetto nel momento della presentazione della istanza di regolarizzazione.

In secondo luogo, il Tar Piemonte sottolineava il contrasto dell’art. 103, co. 10, lett. c), d.l. 34/2020, con l’art. 117, co. 1, Cost. relativamente all’art. 8 CEDU. In particolare, il giudice rimettente faceva riferimento all’interpretazione data dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che, al fine di garantire il rispetto della vita privata e familiare degli stranieri, ha censurato le norme nazionali che fanno derivare in via automatica dalla commissione di reati il diniego di soggiorno e l’espulsione dello straniero senza che vi sia un’adeguata ponderazione della necessità di tali misure rispetto all’obiettivo di perseguire pubblici interessi.

Vale la pena sottolineare che la norma censurata si colloca nell’ambito di un provvedimento legislativo (d.l. 34/2020, come convertito) che, all’art. 103, co. 1 e 2, delinea diverse procedure di emersione dal lavoro irregolare nonché la possibile sottoscrizione di nuovi contratti di lavoro con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale. L’accesso alle procedure di regolarizzazione non è consentito ai cittadini stranieri che si trovino nelle situazioni indicate dal comma 10 della medesima disposizione. In particolare, la lett. c) indica una serie di ipotesi di esclusione automatica dalle procedure di regolarizzazione tra cui quella che vede lo straniero destinatario di una condanna per reati inerenti agli stupefacenti.

Diversamente, nella lett. d), co. 10, sono individuate altre ipotesi di esclusione che vietano ai cittadini stranieri l’ammissione alle procedure di regolarizzazione solo se, in concreto, siano reputati una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato sulla base di un accertamento della pericolosità che tiene conto anche di eventuali condanne per uno dei reati previsti dall’art. 381 c.p.p.

A giudizio della Corte, la disposizione di cui al co. 10, lett. c) finisce per ricomprendere irragionevolmente nell’alveo dei «reati inerenti agli stupefacenti» una condotta illecita a cui lo stesso legislatore «per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze» attribuisce tratti di ridotta offensività (C. cost., n. 43/2024, cit., v. paragrafo 6.1).

Peraltro la disposizione di cui all’art. 103, co. 10, lett. c) adotta, quale indice idoneo a fondare la presunzione di pericolosità, quello della condanna per reati che comportano l’obbligo dell’arresto in flagranza, che nel caso del reato di piccolo spaccio non trova applicazione. A quest’ultimo si applica, invece, la disciplina dell’art. 381 c.p.p. (arresto in flagranza facoltativo) di cui si avvale l’art. 103, co. 10, lett. d), d.l. n.34/2020. Tale disposizione contempla i reati rispetto ai quali l’avvenuta condanna può rappresentare solamente un indice di pericolosità da accertare in concreto ma non da presumere in astratto.

Come precisa la Corte, la norma censurata contraddice in primo luogo l’id quod plerumque accidit. La non pericolosità attuale potrebbe invero essere desunta da una combinazione di indici che tengano conto, ad esempio, «del tempo trascorso dal momento della condanna, dell’avvenuta espiazione della pena, del percorso rieducativo eventualmente seguito, del comportamento tenuto successivamente alla condanna e di ulteriori eventuali fattori ritenuti idonei» (C. cost., n. 43/2024, cit., v. paragrafo 7.1).

In secondo luogo, da una prospettiva giuslavoristica, la presunzione assoluta di cui all’art. 103, co. 10, lett. c) risulta irragionevole in quanto determina l’automatica esclusione dalle procedure di regolarizzazione di cittadini stranieri che proprio attraverso l’emersione dal lavoro irregolare e la sottoscrizione di contratti di lavoro possono acquisire i diritti riconosciuti al lavoratore dal nostro ordinamento.

Come ha statuito il giudice di legittimità in una precedente pronuncia, la subordinazione della regolarizzazione del rapporto di lavoro deve costituire il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti, «soprattutto quando sia suscettibile di incidere sul godimento dei diritti fondamentali dei quali è titolare anche lo straniero extracomunitario, posto che la condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati o peggiorativi» (C. cost., 2 luglio 2012, n. 172).

L’automatismo del rigetto dell’istanza di regolarizzazione che opera nei riguardi del reato di piccolo spaccio non risulta peraltro coerente con la finalità del d.l. n. 34/2020, come convertito, ispirato a favorire l’integrazione lavorativa e sociale di cittadini stranieri «che con il proprio lavoro avevano contribuito, spesso in condizioni di carenza di tutele, (o che potevano contribuire) ad apportare significativi benefici alla comunità […]». (C. cost., n. 43/2024, cit., paragrafo 7.2).

Per quel che concerne la contrarietà della norma censurata al canone della proporzionalità, la sentenza in commento rileva come l’art. 103, co. 10, lett. c) inibisca l’accesso alle procedure di regolarizzazione anche quando, in concreto, potrebbe non sussistere alcun pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza. Sul presupposto che la condanna per il reato di piccolo spaccio non costituisca un indice univoco di persistente pericolosità che giustifichi il rigetto automatico dell’istanza di emersione, la Corte ravvisa l’opportunità di consentire un accertamento da effettuare in concreto (e non da postulare in astratto), come quello che il legislatore ha previsto nella lett. d), co. 10, dell’art. 103.

Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene fondata la questione sollevata, considerato che l’art. 103, co. 10, lett. c), d.l. n. 34/2020, come convertito, associa alla condanna per un reato di lieve entità (art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990) una presunzione assoluta di pericolosità sociale. A seguito della pronuncia che qui si commenta, alle ipotesi di condanna per il reato di piccolo spaccio troverà applicazione la previsione di cui alla lett. d), co. 10, dell’art. 103. L’accertamento sulla pericolosità sociale del cittadino straniero verrà dunque effettuato in concreto, ossia nel momento in cui viene presentata l’istanza di regolarizzazione.

Maria Teresa Ambrosio, assegnista di ricerca nell’Università degli Studi di Milano

Visualizza il documento: C. cost., 19 marzo 2024, n. 43

Scarica il commento in PDF

L'articolo È illegittima l’automatica esclusione dell’autore di “piccolo spaccio” dall’emersione dal lavoro nero. Va accertata la sua pericolosità attuale sembra essere il primo su Rivista Labor - Pacini Giuridica.