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Considerazioni sullo svolgimento di attività ludiche durante l’assenza per malattia

13 Giugno 2024|

Svolgimento di attività durante lo stato di malattia

In linea di principio, lo stato di malattia non permette lo svolgimento di alcuna attività lavorativa durante l’assenza. Tuttavia, è possibile svolgere altre attività lavorativa (o extralavorativa, come ad esempio quelle sportive e amatoriali), purché questo comportamento non evidenzi la fraudolenta simulazione della malattia o sia di per sé idoneo a pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore. In questi termini, in via generale, la recente decisione della Corte d’appello di Napoli, del 15 aprile 2024, n. 1663 (sull’argomento si vedano, recentemente, Cass., 26/02/2024, n. 5002; Cass., 26/01/2024, n. 2516; Cass. 12/05/2023, n. 12994).

Il datore di lavoro ha l’onere di provare l’incidenza della diversa attività nel ritardare o pregiudicare la guarigione ai fini del rilievo disciplinare di tale attività nel corso della malattia; dal canto suo, il lavoratore ha invece l’onere di provare la compatibilità dell’attività svolta con le proprie condizioni di salute (in particolare con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa) e, conseguentemente, l’inidoneità di tale attività a pregiudicare il recupero delle normali energie lavorative.

Vedi in proposito, per un significativo caso di specie, la decisione, in senso favorevole al lavoratore, di Trib. Arezzo, 7 marzo 2023, n. 64, in Labor, 14 aprile 2023, con nota di POSO, «O Fiorentina, di ogni squadra ti vogliam regina». Il lavoratore tifoso, assente dal servizio perché affetto da lombosciatalgia, che va allo stadio per assistere alla partita non può essere licenziato se il datore di lavoro non riesce a provare la simulazione della sua malattia; nonché la decisione di appello, diametralmente opposta a quella di primo grado, di App. Firenze, 9 giugno 2023, n. 432, sempre in Labor, 3 gennaio 2024, con nota di PELLICCIA, Per la Corte d’appello di Firenze, la consapevolezza della condotta, in presenza di una particolare intensità dell’elemento intenzionale, integra la giusta causa di licenziamento: a entrambe le decisioni e ai rispettivi commenti si rinvia anche per gli ulteriori riferimenti.

Lo svolgimento del giudizio

Al lavoratore soggetto alla vicenda veniva imputato l’inadempimento degli “obblighi preparatori”, specificazione del più ampio genus degli “obblighi di protezione” cui è tenuto il lavoratore nell’esecuzione del rapporto lavorativo ex artt. 1175 e 1375 c.c., per l’omessa diligenza (art. 2104 c.c.), nel seguire prescrizioni mediche (riposo dell’arto e uso di “tutore”) durante il decorso della malattia, conseguente ad infortunio sul lavoro, svolgendo attività extra lavorativa (ludica), idonea, perché incidente in termini di “sforzo” sull’arto interessato dalla patologia, a mettere in pericolo l’obbligazione principale cui era tenuto, per il probabile rischio di aggravamento della stessa malattia, con conseguente protrazione dello stato morboso e frustrazione dell’interesse creditorio alla ripresa dell’attività lavorativa.

Con ricorso depositato in data 18/10/2023, il lavoratore ha presentato reclamo, alla Corte di appello di Napoli, ai sensi dell’art. 1, comma 58, legge 92/2012, avverso la sentenza 1178/2023, emessa dal Tribunale, resa il 17/09/2023, di parziale accoglimento dell’opposizione proposta dallo stesso lavoratore, avverso l’ordinanza del 17/06/2021, con la quale il Giudice adito aveva già parzialmente accolto il ricorso proposto dal lavoratore contro il licenziamento irrogatogli in data 1/09/2020, accordando al lavoratore, ritenuta l’insussistenza della giusta causa (unitamente alla sussistenza del fatto contestato, non rientrante, come tale, nelle condotte punibili con una sanzione conservativa), la tutela indennitaria forte, di cui al comma 5, art. 18, statuto lavoratori, nella misura di 13 mensilità; non riconoscendo, all’opposto, la tutela reintegratoria, richiesta dal ricorrente, ai sensi del comma 4, art. 18.

Il reclamo è stato dichiarato infondato.

I fatti di causa

Ecco l’antefatto.

In data 13/07/2020 il lavoratore subiva un infortunio, cadendo e riportando patologie al gomito destro e assentandosi dal servizio per 49 giorni, così fino al 1/09/2020.

A fronte di tale prolungata assenza, l’azienda, anche a seguito di segnalazione anonima, secondo cui il ricorrente, durante l’assenza, si stava dedicando ad attività ludiche del tutto incompatibili con le conseguenze del dichiarato evento infortunistico, conferiva incarico ad una agenzia investigativa, al fine di accertare la fondatezza della predetta segnalazione.

Dalla relazione investigativa si evinceva che il lavoratore, all’interno del periodo di assenza, aveva svolto attività tali da richiedere un impegno funzionale degli arti superiori e inferiori (quali, a titolo esemplificativo, il condurre uno scooter di grossa cilindrata, con la sola mano destra, il sollevare pesi di varie dimensioni, il tuffarsi in acqua, l’arrampicarsi per risalire la scogliera, etc.).

Segnatamente, quanto a specifica doglianza del ricorrente/reclamante, la Corte d’appello rileva che, in ordine alle attività di prova dell’attività extra-lavorativa, in costanza di malattia, la Suprema Corte (Cass., 17/06/2020, n. 11697) ha avuto modo di precisare che le disposizioni dell’art. 5 statuto lavoratori non precludono al datore di lavoro di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare uno stato di incapacità lavorativa rilevante e, quindi, a giustificare l’assenza, nella specie attraverso un’indagine demandata ad agenzia investigativa.

Nel caso di specie il controllo effettuato dalla società datrice di lavoro attraverso la società investigativa deve ritenersi pienamente lecito, in quanto rivolto a verificare eventuali comportamenti extra-lavorativi rilevanti anche penalmente o, comunque, condotte poste in essere potenzialmente in danno della società datrice e, dunque, a tutela del suo patrimonio aziendale (cfr., per l’interferenza con la disposizione dell’art. 3 statuto lavoratori, Cass., 11/06/2018, n. 15094).

La ripartizione dell’onere probatorio

In tema di ripartizione dell’onere probatorio, da ultimo è prevalso (ex multis, Cass., 26/04/2022, n. 13063) l’orientamento secondo cui la prova dell’incidenza della diversa attività lavorativa o extra-lavorativa nel ritardare o pregiudicare la guarigione ai fini del rilievo disciplinare è, comunque, sempre a carico del datore di lavoro. Ne consegue, peraltro, che, avuto riguardo alla vicenda giudiziaria, chi licenzia non può limitarsi a fornire la prova della diversa attività, ma deve anche provare, in relazione alla contestazione disciplinare, o che la malattia era simulata ovvero che la diversa attività posta in essere dal dipendente fosse potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio.

La verifica della proporzionalità

Condivise le conclusioni cui è giunto il primo Giudice circa la valutazione in termini di positivo riscontro processuale dell’addebito mosso dall’azienda, nella parte in cui si contesta al dipendente di avere mantenuto una condotta di vita chiaramente inidonea a preservarlo dal pericolo di aggravamenti e/o di ritardata guarigione, si apre l’ulteriore verifica della proporzionalità in concreto della sanzione espulsiva della predetta condotta inadempiente imputabile al lavoratore.

A questo riguardo, va evidenziato che, poiché non si è raggiunta la prova del concreto aggravamento della malattia, conseguente alla disinvolta e pericolosa – per se stesso – condotta posta in essere dal lavoratore, non è stato ritenuto apprezzabile dalla Corte il segmento di contestazione inerente la mancata/ritardata messa a disposizione della residua capacità lavorativa, tanto più che il datore di lavoro non ha dedotto di essersi attivato al fine di adottare provvedimenti validi ed efficaci per consentirgli di prestare la residua capacità lavorativa in mansioni equivalenti o, se impossibile, inferiori, nel rispetto dell’organizzazione aziendale.

Tenuto conto delle superiori considerazioni, della effettiva gravità della condotta, che si è arrestata alla fase della mera messa in pericolo del bene giuridico protetto (interesse del datore di lavoro alla funzionale organizzazione aziendale) nonché del grado di colpa, deve concludersi che il licenziamento difetti di proporzionalità, rientrando tra le “altre ipotesi” alle quali fa riferimento il comma 5 dell’art. 18 statuto lavoratori, con conseguente riconoscimento della tutela indennitaria nella misura (di 13 mensilità) riconosciuta dal Giudice di prime cure.

Su questo versante di analisi, in merito alla proporzionalità, va anche aggiunto che la violazione inadempiente imputata al lavoratore non appare richiamata dalle clausole contrattuali collettive conservative, neppure generali ed elastiche (v., in proposito, Cass. 11/04/2022, n. 11665, che si può leggere in Labor, 19 maggio 2022, con nota di POSO, Art. 18 dello statuto dei lavoratori. Dal co. 4 al co. 5, viaggio di andata e ritorno. La «discrezionalità necessaria» dei giudici in materia di licenziamenti disciplinari, le clausole collettive elastiche e l’incapacità delle parti sociali a (o la loro volontà di non) tipizzare gli illeciti dei lavoratori, cui si rinvia anche per gli ulteriori riferimenti), dovendosi così confermare la sentenza reclamata.

Pasquale Dui, avvocato in Milano

Visualizza il documento: App. Napoli, 15 aprile 2024, n. 1663

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