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Comporto, disabilità, accomodamenti ragionevoli. Due “nuovi” casi di licenziamento del lavoratore con disabilità per superamento del periodo di comporto ordinario

26 Luglio 2024|

La sentenza della Corte di Cassazione 2 maggio 2024, n. 11731

L’11 luglio 2019 un lavoratore assunto con mansione di operaio e con una (documentata) patologia oncologica dal 2010 veniva licenziato a seguito di un periodo di assenza pari a 458 giorni, tale da integrare il superamento del periodo di comporto disciplinato all’art. 21 CCNL Porti applicato al rapporto.

La Corte d’appello di Firenze conferma l’accertamento dei giudici di primo grado relativo alla gravità e cronicità della patologia del lavoratore: essa aveva provocato, tra l’altro, un progressivo abbassamento di livello delle mansioni svolte da quest’ultimo. Il datore, pur essendo a conoscenza della situazione di debolezza del lavoratore, non aveva verificato la riconducibilità delle assenze per malattia alla condizione di disabilità del lavoratore, le quali erano state considerate nel computo del periodo di comporto.

I giudici di secondo grado, confermando la decisione del Tribunale, accertano la natura indirettamente discriminatoria del licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto di durata analoga a quello previsto per lavoratori non disabili. Viene quindi dichiarata la nullità del licenziamento e il datore di lavoro è condannato alla reintegrazione del lavoratore oltre al pagamento, in favore di quest’ultimo, di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla reintegrazione (nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali).

Il datore propone ricorso per Cassazione contro la decisione della Corte d’appello di Firenze con quattro motivi che vengono affrontati congiuntamente dai giudici di legittimità nella pronuncia in commento.

Punto di partenza del ragionamento che sostiene la motivazione della Corte di Cassazione è la riaffermazione della ratio dell’istituto del comporto. Quest’ultimo costituisce il «punto di equilibrio fra l’interesse del lavoratore a disporre di un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio e quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che tali assenze cagionano all’organizzazione aziendale» (Cass. 16 settembre 2022, n. 27334 in Labor, www.rivistalabor.it, 20 novembre 2022, con nota di Caruso).

La Corte di Cassazione prosegue ricordando che il licenziamento di un lavoratore con disabilità per l’applicazione del periodo di comporto ordinario – individuato dalle disposizioni del contratto collettivo per tutti i lavoratori – integra un’ipotesi di discriminazione indiretta. L’applicazione del criterio apparentemente neutro che individua astrattamente un periodo massimo di assenze per malattia ai fini del licenziamento pone infatti in una situazione di svantaggio quei lavoratori, quali i lavoratori con disabilità, che sono esposti a un maggior rischio di morbilità, e quindi ad un maggior pericolo di cumulare assenze per malattia.

In tale situazione grava in capo al datore l’obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli ai sensi dell’art. 3, comma 3-bis, d. lgs. n. 216/2003 al fine di garantire il principio di parità di trattamento dei lavoratori con disabilità. Ad avviso dei giudici di legittimità «l’adozione di “accomodamenti ragionevoli” presuppone l’onere del lavoratore di allegare e provare la limitazione risultante dalle proprie menomazioni fisiche, mentali e psichiche durature e la traduzione di tale limitazione, in interazione con barriere di diversa natura, in un ostacolo alla propria partecipazione, piena ed effettiva, alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori» (par. 7.1 della pronuncia in commento).

Nella motivazione della Corte di Cassazione assumono particolare rilevanza i passaggi relativi alla disciplina dell’onere della prova nei giudizi in materia di diritto antidiscriminatorio.

L’art. 40 d. lgs. n. 198/2006 ha introdotto una parziale inversione dell’onere della prova a favore del ricorrente che si ritiene discriminato: quest’ultimo è chiamato a fornire elementi fattuali tali da rendere plausibile la discriminazione mentre il rischio dell’incertezza circa l’effettiva esistenza del comportamento discriminatorio grava in capo al convenuto che è tenuto a provarne l’insussistenza.

Secondo i giudici di legittimità, il regime probatorio individuato dall’art. 40 d. lgs. n. 198/2006 si applica anche nei casi di discriminazione indiretta consistente nel licenziamento del lavoratore con disabilità per superamento dell’ordinario periodo di comporto. Ne consegue che, dal momento in cui il datore viene messo a conoscenza della condizione di disabilità del lavoratore, è onere del primo «attivarsi per approfondire le ragioni delle assenze per malattia […], così da superare quell’incertezza su di sé negativamente ridondante, in quanto tenuto a provare l’insussistenza della discriminazione» (par. 7.2 della pronuncia in commento).

L’accertamento in merito all’esistenza della condizione di disabilità e alla conoscenza della stessa da parte del datore, correttamente svolto dai giudici di merito, non è censurabile in sede di giudizio di legittimità: la Corte di Cassazione rigetta pertanto il ricorso proposto dal datore e conferma la decisione della Corte d’appello di Firenze.

La sentenza della Corte di Cassazione 31 maggio 2024, n. 15282

Sostanzialmente analogo il caso che ha dato origine alla pronuncia della Corte di Cassazione n. 15282/2024.

Il 16 novembre 2011 viene intimato il licenziamento di un lavoratore con disabilità (nota al datore) per superamento del periodo di comporto ordinario disciplinato all’art. 4 CCNL Federculture a seguito di un periodo di assenza per malattia pari a 371 giorni.

La Corte d’appello di Roma accerta la sussistenza di «una seria e permanente compromissione delle condizioni fisiche [del lavoratore], con evidenti disabilità alle quali sono riconducibili le assenze per malattia» che hanno condotto al licenziamento.

Anche in questo caso i giudici di secondo grado qualificano come indirettamente discriminatorio il comportamento consistente nell’applicazione del periodo di comporto ordinario al lavoratore con disabilità e ribadiscono che la società datrice di lavoro «era chiamata […] ad adottare misure adeguate, tra le quali ben può essere ricompresa la sottrazione del calcolo del comporto dei giorni di malattia ascrivibili dall’handicap».

La Corte d’appello di Roma precisa che la mancata specificazione nel certificato medico della riconducibilità della malattia che ha determinato l’assenza alla condizione di disabilità del lavoratore è circostanza insufficiente ad escludere la sussistenza di un comportamento discriminatorio. Infatti, il datore «avrebbe potuto richiedere informazioni al lavoratore, in ossequio al dovere di reciproca collaborazione che connota il rapporto di lavoro».

A seguito del ricorso proposto dalla società datrice, la Corte di Cassazione si pronuncia nuovamente in materia di licenziamento per superamento del periodo di comporto ordinario del lavoratore con disabilità e affronta direttamente il tema della conoscibilità dei motivi delle assenze nonché della stessa condizione di disabilità del lavoratore.

Dopo aver richiamato i precedenti della Corte di Giustizia dai quali è possibile ricavare la nozione di disabilità rilevante per il diritto dell’Unione Europea (tra cui C. giust. UE, 11 aprile 2013, C-335/11 e c-337/11, HK Danmark e C. giust. UE, 1° dicembre 2016, C-395/2015, Daouidi), i giudici della Corte di Cassazione ribadiscono che l’accertamento circa la riconducibilità della condizione del lavoratore alla definizione individuata dalla corte europea spetta esclusivamente al giudice di merito e non può essere oggetto di un nuovo giudizio in sede di legittimità.

Viene inoltre confermata la natura indirettamente discriminatoria del licenziamento per superamento del periodo di comporto ordinario in quanto «il rischio aggiuntivo di essere assente dal lavoro per malattia di un lavoratore disabile deve essere tenuto in conto nell’assetto dei rispettivi diritti ed obblighi in materia» (Cass. 31 maggio 2025, n. 15282, par. 3.2.1).

La sentenza affronta infine il tema della conoscibilità della condizione di disabilità del lavoratore che, ad avviso dei giudici di legittimità, si pone in modo immediatamente antecedente sul piano logico a quello dell’adozione degli accomodamenti ragionevoli.

La Corte di Cassazione riafferma che nel caso di discriminazione indiretta «ciò che viene in rilievo è […] l’effetto discriminatorio e non la condotta» e poi però precisa che «non può negarsi che possa assumere rilevanza la conoscenza o la conoscibilità di un fattore discriminatorio, ai fini dell’accertamento della sussistenza di una esimente per il datore di lavoro al fine di rendere praticabili gli accomodamenti ragionevoli» (Cass., 31 maggio 2024, n. 15282, par. 3.2.2).

La pronuncia individua allora due ipotesi che possono verificarsi nel caso di licenziamento del lavoratore con disabilità per superamento del periodo di comporto, ossia quella «in cui il datore di lavoro abbia colpevolmente ignorato la disabilità del dipendente» e quella «in cui il fattore di protezione, pur non risultando espressamente portato a conoscenza del datore di lavoro, avrebbe potuto essere ritenuto reale secondo un comportamento di questi improntato a diligenza» (Cass., 31 maggio 2024, n. 15282, par. 3.2.2).

A seguito dell’esemplificazione delle situazioni rientranti nella prima – lavoratore assunto ai sensi della l. n. 68/1999 – e nella seconda ipotesi – datore di lavoro che non abbia correttamente effettuato la sorveglianza sanitaria ai sensi dell’art. 41 d. lgs. n. 81/2008 – i giudici di legittimità ribadiscono che, in entrambi i casi, sorge in capo al datore l’onere di acquisire informazioni. Quest’ultime devono essere finalizzate a valutare la riconducibilità delle assenze per malattia alla disabilità del lavoratore nonché ad individuare i possibili accomodamenti ragionevoli che consentano di evitare il licenziamento.

La Corte di Cassazione richiama sul punto il Commento generale n. 6 del Comitato per i diritti delle persone con disabilità del 2018, dal quale emerge la natura dialogica dell’accomodamento ragionevole, nonché le conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa C-270/2016 (Ruiz Conejero) ove veniva affermato che l’obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli sorge «qualora un lavoratore sia affetto da disabilità e il suo datore di lavoro sia o dovrebbe ragionevolmente essere a conoscenza di tale disabilità».

Il ricorso della società datrice viene respinto e i giudici di legittimità confermano la decisione della Corte d’appello di Roma.

Brevi considerazioni

Le questioni legate al licenziamento del lavoratore con disabilità per superamento del periodo di comporto e all’inottemperanza dell’obbligo del datore di adottare accomodamenti ragionevoli costituiscono quindi un tema ricorrente nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione.

I giudici di legittimità avevano già avuto modo di affermare che «costituisce discriminazione indiretta l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto al lavoratore disabile, perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione di particolare svantaggio» (Cass. 31 marzo 2023, n. 9095, par. 23, in Labor, www.rivistalabor.it, 13 giugno 2023, con nota di Bordoni).

In tale occasione la Corte di Cassazione aveva ribadito con decisione la natura oggettiva del comportamento discriminatorio e l’irrilevanza dell’elemento soggettivo dell’autore della discriminazione. La conoscenza da parte del datore del motivo dell’assenza per malattia e della riconducibilità di quest’ultima alla condizione di disabilità del lavoratore è quindi irrilevante ai fini della qualificazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto come comportamento indirettamente discriminatorio.

Con la pronuncia n. 11731/2024 la Corte di Cassazione interpreta il proprio precedente – tra parentesi in chiusura del par. 7.2 – affermando che il principio dell’irrilevanza dell’atteggiamento soggettivo dell’autore della discriminazione deve essere letto alla luce delle disposizioni riguardanti la ripartizione dell’onere della prova in materia di giudizio antidiscriminatorio.

La conoscenza della condizione di disabilità del lavoratore da parte del datore è sufficiente per fondare l’onere di quest’ultimo di attivarsi al fine di indagare sui motivi sottostanti all’assenza per malattia così da evitare l’attuazione di comportamenti discriminatori, quali l’intimazione del licenziamento per superamento del comporto ordinario, e fornire successivamente la prova dell’insussistenza della discriminazione.

La connessione con il profilo probatorio emerge anche dalla pronuncia n. 15282/2024 , ove i giudici di legittimità affermano che «il presupposto della conoscenza dello stato di disabilità o la possibilità di conoscerlo secondo l’ordinaria diligenza incide, evidentemente, sulla possibilità che il datore di lavoro possa fornire la prova liberatoria circa la ragionevolezza degli accomodamenti da adottare e, quindi, rappresenta un momento indispensabile nella valutazione della fattispecie» (Cass., 31 maggio 2024, n. 15282, par. 3.2.2).

È proprio con riferimento alla fattispecie degli accomodamenti ragionevoli che si rivela l’importanza dell’elemento della conoscenza da parte del datore della condizione di disabilità del lavoratore, non solo ai fini della prova liberatoria ma quale requisito di praticabilità e fattibilità – nonché presupposto logico – dell’accomodamento stesso.

È quanto emerge dalla pronuncia n. 15282/2024 ove la Corte di Cassazione afferma che «l’interlocuzione e il confronto tra le parti, che si pongono su di un piano logico quale presupposto per adottare accomodamenti ragionevoli, rappresentano, pertanto, una fase ineludibile della fattispecie complessa del licenziamento del lavoratore disabile per superamento del periodo di comporto».

Diversamente, la condotta del datore è qualificabile come indirettamente discriminatoria esclusivamente in considerazione dell’effetto che ne deriva, indipendentemente dalla sussistenza di un intento discriminatorio. In tale ambito rimane assente lo spazio per la valutazione della conoscenza della condizione di disabilità del lavoratore, in quanto il giudizio di accertamento della discriminatorietà del comportamento prescinde dall’elemento soggettivo.

Vengono quindi in considerazione due fattispecie differenti – il comportamento indirettamente discriminatorio e l’obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli – che si fondano su presupposti normativi e fattuali diversi: la conoscenza della condizione di disabilità rimane del tutto irrilevante ai fini dell’accertamento della discriminatorietà del comportamento del datore ma è indispensabile per la valutazione del corretto adempimento dell’obbligo di adozione degli accomodamenti ragionevoli ex art. 5 dir. n. 2000/78/CE (Tarquini, Il licenziamento discriminatorio, “soggetto inatteso”: alcune riflessioni sul principio paritario e la disciplina limitativa del recesso datoriale, in LDE, 2023, 2, 1).

Deve essere tuttavia rilevato che l’art. 5 dir. n. 2000/78/CE individua un obbligo in capo al datore di lavoro che sussiste in ogni fase del rapporto, non solo in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto e a prescindere dall’esistenza di comportamenti discriminatori.

Il datore deve conoscere la condizione del singolo lavoratore con disabilità al fine di adottare soluzioni individualizzate che consentano a quest’ultimo, non solo di mantenere, ma anche di accedere e di svolgere la prestazione, nello specifico contesto organizzativo in cui è collocato, in condizione di parità con gli altri lavoratori.

Ne consegue che non è necessaria la sussistenza di un comportamento discriminatorio perché il datore sia chiamato a rispondere per inadempimento dell’obbligo di cui all’art. 5 dir. n. 2000/78/CE mentre tale responsabilità sarà assente qualora il datore non abbia potuto conoscere, senza sua colpa, la condizione di disabilità del lavoratore.

Giovanna Zampieri, dottoranda di ricerca nell’Università degli Studi di Padova

Visualizza i documenti: Cass., 2 maggio 2024, n. 11731; Cass., 31 maggio 2024, n. 15282

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