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Cambio appalti e “clausola sociale”: la Cassazione interviene nuovamente sul delicato equilibrio esistente tra la tutela dei lavoratori ed il principio di libertà di iniziativa economica

27 Aprile 2024|

Il fenomeno dei cambi di appalto è teatro del conflitto tra l’esigenza di tutela dei livelli occupazionali del personale impiegato nell’appalto e la libertà dell’impresa subentrante di poter organizzare secondo le proprie esigenze l’attività oggetto di affidamento.

Allorché la successione nell’appalto interessi imprenditori privati, la regolamentazione di tale conflitto è normalmente affidata alle c.d. “clausole sociali” rinvenibili nella contrattazione collettiva.

La fattispecie oggetto della pronuncia in commento (Corte di Cassazione, Ordinanza 6 novembre 2023, n. 30803) riguarda, in particolare, l’ambito di operatività della “clausola sociale” contenuta nell’art. 37, lett. B), del CCNL Cooperative Sociali, il quale prevede l’obbligo dell’azienda subentrante nell’appalto di assumere i lavoratori impiegati nel servizio oggetto dell’appalto stesso.

Tale clausola veniva invocata dai lavoratori impiegati in un subappalto avente ad oggetto la gestione dei servizi di manutenzione e pulizia di una stazione ferroviaria per rivendicare la sussistenza di un rapporto di lavoro in capo alle società che erano subentrate in tale gestione e che facevano parte di un medesimo Raggruppamento Temporaneo di Imprese.

In primo grado, la domanda dei lavoratori veniva rigettata dal Tribunale di Foggia, 26 aprile 2018 (inedita per quanto consta), unicamente in ragione del fatto che non era stata ritenuta raggiunta la prova dell’esistenza del contratto di subappalto in forza del quale i lavoratori ricorrenti avevano reso i servizi di manutenzione e pulizia presso la stazione ferroviaria.

In sede di giudizio di appello, la Corte d’Appello Bari, 18 settembre 2019, n. 1813 (in banca dati One Legale – Wolters Kluwer) accertata l’esistenza del contratto di subappalto (la cui produzione in appello era stata ritenuta ammissibile dalla Corte ex art. 437, comma 2, c.p.c.), riformava la sentenza di primo grado ed accoglieva la domanda avanzata dagli appellanti, facendo applicazione del disposto del citato art. 37 lett. B) del CCNL Cooperative Sociali.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione, conformandosi a quanto statuito dalla Corte di merito, ha rigettato i motivi di ricorso presentati dalle società ricorrenti.

Nel procedere in tal senso, la Suprema Corte ha anzitutto precisato che la menzionata “clausola sociale” del CCNL delle Cooperative Sociali trova applicazione anche per i dipendenti delle imprese subappaltatrici, una volta dimostrata l’esistenza di tale rapporto contrattuale. A questo precipuo fine, è stato ritenuto che la Corte d’Appello Bari avesse fatto corretta applicazione dell’art. 437 c.p.c. dal momento che è necessario effettuare un «contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale, cosicché, allorquando le risultanze di causa offrano già significativi dati di indagine (cd. piste probatorie), il giudice ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio all’acquisizione di atti istruttori idonei a superare lo stato di incertezza dei fatti costitutivi dei diritti di cui si verte, fermo il principio che l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice non è volta a superare gli effetti derivanti da una tardiva richiesta istruttoria delle parti o a supplire ad una carenza probatoria totale, in funzione sostitutiva degli oneri di partecfr. Cass. S.U. n. 10790/2017, Cass. n. 11845/2018, n. 23605/2020, n. 23162/2023)»: nella specie, la “pista probatoria” era identificabile nel fatto, provato documentalmente, dell’affidamento ai lavoratori appellanti dei servizi di manutenzione e pulizia presso la stazione ferroviaria; il quale fatto poteva spiegarsi solo se a monte vi era un contratto di appalto (nella specie, di subappalto) che giustificava l’impiego di quei lavoratori.

La Corte ha poi rimarcato «l’operatività sul piano oggettivo» della “clausola sociale” del CCNL delle Cooperative Sociali, con la conseguenza che ai fini della sua «efficacia», non appariva dirimente la «volontà» della società subentrante di assumere o meno i dipendenti dell’impresa uscente né la «conoscenza soggettiva» da parte della prima della situazione occupazionale della seconda. Il diritto all’assunzione di quei dipendenti poteva dirsi quindi preservato «anche in difetto di corretta trasmissione della documentazione da parte delle società precedentemente titolari dell’appalto (che, eventualmente, risponderanno delle proprie inesattezze o omissioni nei confronti del committente o dell’appaltatore subentrante, ma non in danno dei lavoratori tutelati dalla clausola sociale di matrice contrattual-collettiva)».

Tale principio si giustifica tenendo a mente la funzione della “clausola sociale”, che è appunto quella di garantire l’impermeabilità dei rapporti di lavoro rispetto ai mutamenti che riguardano il datore di lavoro.

In caso di avvicendamento nell’appalto, non sempre infatti i lavoratori interessati possono usufruire di disposizioni legislative che ne garantiscono la continuità occupazionale: ai sensi dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, l’applicabilità dell’art. 2112 del Codice Civile è rimessa al caso in cui la successione tra appaltatori si caratterizza per l’assenza di «elementi di discontinuità che determinano una specifica identità d’impresa». Sulla scorta di tale principio, è stata ritenuta priva  di «discontinuità», con conseguente applicazione dell’art. 2112 c.c., la «mera riduzione quantitativa dell’attività oggetto del contratto tra committente e nuovo appaltatore» (cfr. Tribunale di Bologna, 7 luglio 2017, in Argomenti, 2018, 1, 280); o la successione nell’appalto di un servizio di ristorazione che comprendeva anche la gestione dei locali e delle attrezzature di proprietà del committente, già utilizzati dal precedente appaltatore (cfr. Tribunale di Trento, 5 febbraio 2019, n. 29, reperibile sul sito www.wikilabour.it). Peraltro, se un elemento di “discontinuità” può essere facilmente individuato nell’utilizzo di mezzi propri da parte dell’impresa subentrante – in argomento di vedano Cass., 16 maggio 2013, n. 11918, in Giur. It., 2014, 5, 1165, nota di SAMBATI, e Cass., 13 aprile 2011, n. 8460, in CED Cassazione, 2011 -, è stato giustamente osservato che è difficile ricontrare tale caratteristica «negli appalti labour intensive. In questi casi, probabilmente l’impresa subentrante, al fine di evitare l’applicazione dell’art 2112 c.c., dovrà necessariamente organizzare autonomamente la prestazione del gruppo di lavoratori oggetto dell’acquisizione» (così «M. DI GREGORIO, La nuova (e confusa) disciplina lavoristica dei cambi di appalto», in Boll. Adapt. n. 6/2017).

Allorché, invece, l’avvicendamento nell’appalto riguardi due distinte entità economiche organizzate e sia quindi caratterizzato da «elementi di discontinuità», il “vuoto” normativo è colmato dai meccanismi di garanzia della continuità occupazione contenuti nelle citate “clausole sociali”, diffuse, non a caso, nell’ambito della contrattazione collettiva di quei settori ove l’avvicendamento tra appaltatori avviene con grande frequenza (si pensi ai settori della logistica, delle pulizie, dei servizi di vigilanza e portierato, della ristorazione).

Peraltro, trattandosi di disposizioni di origine contrattuale, l’operatività delle “clausole sociali” rimane inevitabilmente circoscritta all’interno delle logiche civilistiche ed è quindi opponibile ai soli soggetti che aderiscono o applicano medesime o analoghe discipline contrattuali. Ciò, quindi, significa le predette clausole garantiscono ai lavoratori una continuità nel rapporto di lavoro solo quando anche «l’impresa subentrante applica lo stesso contratto collettivo dell’impresa uscente o altro contratto che contempli analogo obbligo» (cfr. Ministero del Lavoro, interpello 1° agosto 2012, n. 22, reperibile sul sito www.dplmodena.it).

A parziale contemperamento di ciò, si segnalano quei meccanismi di estensione dell’operatività del CCNL (e quindi anche delle relative “clausole sociali”) rinvenibili nell’ambito dei CCNL stessi: per tutti, si veda, l’art. 42 del CCNL Logistica, il quale impone al committente (che evidentemente applichi quel CCNL) di affidare le attività di «logistica, facchinaggio, movimentazione, magazzinaggio delle merci, all’interno dei processi produttivi» «solo ad imprese che applicano il presente CCNL».

Giovanni Veca, avvocato in Milano

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 6 novembre 2023, n. 30803

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