Assenza ingiustificata in caso di malattia e licenziamento disciplinare
16 Marzo 2025|Il caso oggetto di controversia e l’ordinanza della Corte di Cassazione 5 agosto 2024, n. 22004
Il 18 aprile 2019 ad un lavoratore veniva intimato un licenziamento disciplinare per “assenza arbitraria dal servizio superiore a dieci giorni”. Il lavoratore destinatario del provvedimento espulsivo si era assentato a partire dal 1° febbraio 2019 e l’assenza si era poi protratta fino al 22 marzo 2019, data in cui il datore aveva provveduto ad inviare la contestazione disciplinare.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato dal lavoratore contro la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, respingeva i sei motivi di ricorso e confermava la decisione dei giudici di secondo grado in cui veniva accertata la legittimità del licenziamento.
Di particolare interesse risulta la motivazione resa in relazione all’inammissibilità del quarto e sesto motivo di ricorso con i quali il lavoratore chiedeva ai giudici di legittimità di pronunciarsi sulla violazione e falsa applicazione, rispettivamente, dell’art. 41 del CCNL applicato e del principio di buonafede e correttezza nell’esercizio del potere disciplinare (art. 7 l. n. 300/1970).
Secondo l’art. 41 del CCNL applicato «l’assenza per malattia deve essere comunicata alla Società immediatamente e, comunque, all’inizio dell’orario di lavoro del giorno stesso in cui si verifica, anche nel caso di prosecuzione di tale assenza, salva l’ipotesi di comprovato impedimento». Tale era la norma di contratto collettivo violata dal lavoratore il quale sosteneva «di aver sempre tempestivamente comunicato l’assenza e il numero di protocollo del certificato medico come comunicatogli dal medico curante e che le mancanze addebitategli erano tuttalpiù riferibili ai medici che non avevano provveduto ad inoltrare tempestivamente e correttamente il certificato medico» (par. 13.1 della sentenza in commento).
La Corte di Cassazione evidenziava come la descritta eventualità non costituisse un “comprovato impedimento” tale da rendere impossibile al lavoratore la comunicazione della propria assenza al datore e, pertanto, non sufficiente a giustificare la violazione della norma contrattuale.
Sul punto viene inoltre richiamato l’accertamento svolto dai giudici di secondo grado, dal quale era emerso che «sul sito dell’INPS non risulta alcun certificato medico relativo alla posizione [del ricorrente], in quanto l’ultimo certificato medico ritualmente trasmesso risale al 18/01/2019 e riguarda il periodo dal 18/01/2019 al 23/01/2019, mentre relativamente all’assenza dal 1/02/2019 in poi non vi è alcun certificato» (par. 13.2 della sentenza in commento).
Nemmeno era stata dimostrata la sussistenza di uno stato di malattia tale da costituire quel “comprovato impedimento” idoneo ad esentare il lavoratore dall’obbligo di comunicazione di cui all’art. 41 del CCNL applicato. Infatti, il documento prodotto dal lavoratore nell’ambito del giudizio di merito «non [era] assolutamente idoneo a provare alcunché, innanzitutto, […] il certificato, oltre a non risultare sul sito INPS, [era] privo di data, di timbro del medico che lo avrebbe redatto, ma, soprattutto, [risultava] “annullato”» (par. 14.1 della sentenza in commento). Pertanto, la violazione dell’art. 41 del CCNL – e il conseguente inadempimento del lavoratore – dovevano ritenersi provati.
Proseguendo nella motivazione, i giudici di legittimità confermavano la decisione della Corte d’Appello anche per quanto attiene all’accertamento della legittimità dell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore.
Essendo assente in capo al datore un obbligo di comunicazione delle assenze ingiustificate, alcuna critica poteva essere mossa all’agire del datore sotto il profilo della correttezza e buonafede nell’esercizio del potere disciplinare. Piuttosto, come affermato dai giudici d’appello nel passaggio della sentenza richiamato nella motivazione della Corte di Cassazione, «incombe sul lavoratore, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 41 e 52 CCNL, di settore, l’obbligo di comunicare il motivo della sua assenza» (par. 20 della sentenza in commento).
Il ricorso veniva quindi rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, oltreché al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.
L’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di licenziamento per assenza ingiustificata
La giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di licenziamento disciplinare per assenza ingiustificata del lavoratore si caratterizza per un’impostazione formale, nel senso di considerare la mancata comunicazione dell’assenza (o l’intempestività della stessa secondo le previsioni di contratto collettivo) coincidente con l’ingiustificatezza dell’astensione dallo svolgimento della prestazione. Di seguito vengono riportati, in ordine cronologico, i precedenti della Corte di Cassazione in materia.
Per quanto riguarda la mancata comunicazione di assenza per malattia, i giudici di legittimità (Cass. civ., sez. lav., 08 novembre 2017, n. 26465) hanno confermato l’interpretazione “formalistica” delle previsioni di contratto collettivo resa dalla Corte d’appello di Perugia in un caso di licenziamento disciplinare intimato ad una lavoratrice assentatasi dal posto di lavoro dal 27 agosto al 9 settembre 2011 senza rendere alcuna giustificazione.
Ad avviso dei giudici di secondo grado, era possibile evincere dalle previsioni di contratto collettivo che «l’ingiustificatezza dell’assenza non riguardasse l’effettività o meno della malattia, ma il mancato adempimento degli obblighi di comunicazione gravanti sul lavoratore. Quindi, il problema sotteso alla questione posta in giudizio non [era] di mero fatto, ma [risultava] questione interpretativa delle norme contrattuali: è ingiustificata l’assenza quando vi è stata omissione del comportamento attivo prescritto a carico del lavoratore, con la conseguenza che tale omissione rende l’assenza ingiustificata, ancorché fondata su uno stato di malattia esistente» (Cass. civ., sez. lav., 08 novembre 2017, n. 26465, par. 5).
Analogo il giudizio reso dalla Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. lav., 6 luglio 2020, n. 13904) a proposito di un ricorso presentato contro una decisione dalla Corte d’appello di Salerno ove veniva affermato che la sussistenza di una malattia mentale non potesse costituire un “legittimo impedimento” ai sensi dell’art. 42 del CCNL Federambiente tale da escludere l’obbligo di comunicazione dell’assenza in capo al lavoratore.
Secondo i giudici di legittimità, «la norma collettiva che sanziona con il licenziamento l’assenza ingiustificata tutela, infatti, l’affidamento che il datore di lavoro deve poter riporre nella continuità ed effettività della prestazione dell’attività lavorativa a cui si riconnettono obblighi di comunicazione in capo al lavoratore, sanzionati ove rimasti inadempiuti. Non rileva tanto l’effettività della malattia, quanto piuttosto la diligenza nell’esecuzione della prestazione che si concreta anche nella corretta e tempestiva informazione del datore di lavoro della sua impossibilità. Peraltro, non qualunque omessa comunicazione rileva, ma solo quella che si ricollega ad un protrarsi dell’inadempimento per un tempo che le parti sociali hanno ritenuto importante (quattro giorni). In tale contesto, la prova non interessa tanto la effettiva sussistenza della malattia quanto, piuttosto, l’impossibilità per il lavoratore di provvedere alle dovute comunicazioni» (Cass. civ., sez. lav., 6 luglio 2020, n. 13904, par. 5).
In un altro caso, un certificato medico reso da un’autorità straniera mancante dell’Apostille (Convenzione sull’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, adottata a l’Aja il 5 ottobre 1961, e ratificata dall’Italia con L. n. 1253 del 1966) veniva considerato privo di valore giuridico in Italia e inidoneo a giustificare l’astensione del lavoratore dalla prestazione. La sua presentazione equivaleva a mancanza di comunicazione e, conseguentemente, legittimava l’esercizio del potere disciplinare da parte del datore.
I giudici di legittimità affermavano infatti che «sul datore di lavoro grava l’onere di provare la condotta che ha determinato l’irrogazione della sanzione disciplinare e, quindi, di provare il fatto nella sua oggettività, mentre grava sul lavoratore l’onere di provare gli elementi che possano giustificarlo» (Cass. civ., sez. lav., 11 agosto 2022, n. 24697, par. 14 che richiama sul punto Cass. civ., sez. lav., 22 giugno 2018, n. 16597 e Cass. civ., sez. lav., 7 febbraio 2011, n. 2988).
Pertanto, «non [era] corretto sostenere che il datore di lavoro avrebbe potuto egli verificare la effettiva insussistenza della malattia, stante il vizio sostanziale della documentazione medica inviata a giustificazione dell’assenza del lavoratore» (Cass. civ., sez. lav., 11 agosto 2022, n. 24697, par. 15).
Su basi analoghe poggia anche la decisione resa dalla Corte di Cassazione in un caso di mancata comunicazione dell’assenza del lavoratore sottoposto ad una misura restrittiva della libertà personale (Cass. civ., sez. lav., 16 maggio 2023, n. 13383, in www.rivistalabor.it, 11 luglio 2023, con nota di S. Grivet Fetà, Assenza ingiustificata del lavoratore in carcere e obblighi di comunicazione: per la Cassazione, la forma è sostanza).
Confermando la decisione resa dalla Corte d’appello di Lecce, i giudici di legittimità affermavano che «la comunicazione del lavoratore circa l’assenza dal servizio (tempestiva, efficace ed esaustiva, nel senso di indicare i motivi dell’assenza e la sua durata presumibile) [deve essere tale] da consentire al datore di apportare la sostituzione e comunque di riorganizzare il servizio in mancanza del lavoratore assente» (Cass. civ., sez. lav., 16 maggio 2023, n. 13383, par. 1.2).
Di conseguenza, «il fatto che il direttore amministrativo avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore la circostanza che lo stesso era stato tratto in arresto, non poteva assumere rilievo, perché l’informazione era incompleta ed inidonea a consentire al datore le valutazioni di competenza» (Cass. civ., sez. lav., 16 maggio 2023, n. 13383, par. 1.3).
La tardiva comunicazione dell’assenza per malattia nel precedente difforme della Corte di Cassazione
Nonostante il descritto orientamento, in un caso l’assenza per malattia non tempestivamente comunicata dal lavoratore è stata ritenuta insufficiente a legittimare il potere di licenziamento del datore messo tardivamente a conoscenza del motivo dell’astensione dalla prestazione da parte del datore.
È quanto accaduto in una vicenda che ha visto coinvolto un lavoratore a cui era applicato il CCNL Tessile abbigliamento e che, astenutosi dallo svolgimento dell’attività lavorativa senza darne tempestiva comunicazione, aveva fatto pervenire il certificato medico al datore nelle more del procedimento disciplinare (Cass. civ., sez. lav., 10 novembre 2022, n. 33134, in www.rivistalabor.it,18 novembre 2022, con nota di A. Lamberti, Ancora sulla rilevanza del certificato medico retrodatato. Rincorrendo gli orientamenti ondivaghi della Cassazione).
La Corte di Cassazione, interpretando le disposizioni di cui all’art. 60, 61, 72 e 74 del contratto collettivo applicato al rapporto, aveva affermato che «dal tenore testuale delle disposizioni ricordate si evince che le parti sociali hanno inteso punire con il licenziamento quella condotta che per le modalità con le quali è realizzata si rivela particolarmente grave. […] La norma poi sottolinea che l’assenza deve essere ingiustificata il che non può che voler dire che il lavoratore non abbia documentato le ragioni della stessa o che tali ragioni non siano risultate confermate all’esito del controllo datoriale. Ben diversa è la fattispecie che si realizza nel caso in cui il lavoratore non rispetti il procedimento che è dettato dal contratto al fine di assicurare al datore di lavoro la possibilità di fronteggiare disagi organizzativi connessi alla mancata presenza di unità in organico. L’assenza, infatti, seppur tardivamente ben potrà essere giustificata e la condotta del lavoratore potrà essere valutata disciplinarmente in tale contesto e, in ragione della sua maggiore o minore incidenza sull’organizzazione potrà dar luogo all’irrogazione di una multa o, in casi più gravi, alla sospensione del lavoratore, la sanzione conservativa la più grave che può essere irrogata» (Cass. civ., sez. lav., 10 novembre 2022, n. 33134, par. 5.5 e 5.6).
In tale caso, i giudici di legittimità hanno interpretato le disposizioni di contratto collettivo nel senso di ritenere presente una gradualità del regime sanzionatorio individuato dalle parti sociali. Ne derivava l’impossibilità di assimilare, in quanto a conseguenze sanzionatorie, la tardiva comunicazione del motivo dell’astensione dallo svolgimento della prestazione con l’omessa comunicazione dell’assenza, che ne avrebbe invece determinato l’ingiustificatezza.
Brevi considerazioni sull’assenza di un onere in capo al datore di comunicare le assenze ingiustificate prima di procedere al licenziamento
Nel caso oggetto della pronuncia in commento, la Corte di Cassazione esclude la possibilità di individuare un onere in capo al datore di comunicare le assenze ingiustificate prima di procedere alla contestazione disciplinare necessaria per irrogare il licenziamento.
A precludere tale eventualità, ad avviso dei giudici, è proprio l’obbligo di comunicazione che le disposizioni di contratto collettivo applicato impongono al lavoratore che si astenga dallo svolgimento della prestazione lavorativa.
Ciò risulta coerente con il richiamato orientamento di legittimità che individua, più in genarle, un obbligo di diligenza e leale collaborazione che il lavoratore è tenuto ad osservare per consentire al datore di riorganizzare l’attività durante il periodo di astensione dallo svolgimento della prestazione lavorativa.
A ben vedere, l’assenza di un onere di comunicazione in capo al datore risulta coerente e sostenibile anche prendendo in considerazione la disciplina del licenziamento disciplinare che prevede, come momento iniziale, l’invio della contestazione dell’addebito. Quest’ultima, al fine di rispettare i requisiti di specificità e completezza dovrà necessariamente contenere i giorni di assenza ingiustificata su cui si fonda la violazione disciplinare attribuita al lavoratore, il quale avrà così conoscenza dei giorni di assenza ingiustificata che sono il presupposto di fatto dell’esercizio del potere disciplinare.
Giovanna Zampieri, dottoranda di ricerca nell’Università degli studi di Padova
Visualizza il documento: Cass., ordinanza 5 agosto 2024, n. 22004
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