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Ancora in tema di trasferimento d’azienda: tra prosecuzione dell’attività, crisi d’impresa, continuità dei rapporti di lavoro  e certezza dei rapporti giuridici

16 Giugno 2024|

L’ordinanza de qua pronunciata dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione (05 febbraio 2024, n. 3235) ha il pregio di vagliare, ancora una volta, la disciplina del trasferimento d’azienda di cui all’art. 2112 c.c.: in tale prospettiva, sulla base di un’ottica di analisi economica del diritto, si pongono, da un lato, esigenze legate alla continuità e alla prosecuzione dell’attività dell’azienda; dall’atro, assumono rilevanza principi generali quali quello immanente, nel sistema del diritto privato, della certezza dei traffici giuridici e, sotto il profilo giuslavoristico, di tutela del dipendente.

I giudici hanno sancito che la disdetta intimata ai sensi del primo comma dell’art. 2112 cod. civ. nei confronti dei lavoratori che prestavano la loro opera alle dipendenze dell’alienante, in caso di cessione di azienda, non si sottrae al regime di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970, sulla giustificatezza del licenziamento, e per tale ragione sussiste l’onere della tempestiva impugnazione del licenziamento intimato in tempo utile rispetto alla cessione dell’azienda, mentre quest’onere viene meno allorché la disdetta non sia tempestiva poiché, in tal caso, è la norma stessa che stabilisce il principio della successione necessaria e incondizionata nel contratto di lavoro.

(Pigou, The economics of welfare, London, Macmillan, 1932. Per un’approfondita analisi dei “fenomeni” caratterizzanti questo nuovo filone concettuale si rinvia a Mattei, Tutela inibitoria e tutela risarcitoria, Milano, Giuffrè, 1987, 22 ss. Particolare rilevanza deve essere riservata alla Scuola di Losanna, in cui Vilfredo Pareto elaborò il celebre criterio, denominato efficienza paretiana, in forza del quale l’efficienza sarebbe raggiunta quando non sarebbe possibile migliorare il benessere di alcuno senza peggiorare quello di altri.

Per un’incisiva analisi dei contributi economici e sociologici di Pareto, cfr. Santoro Passarelli, La disciplina del rapporto di lavoro nel trasferimento di azienda: evoluzione e prospettive, in DL, 2003, 763; Calabresi, Il futuro dell’analisi economica del diritto, in Sociologia dir., 1990, 1-2, 47; Nicita -Scoppa, Economia dei contratti, Roma, Carocci, 2005; Franzoni – Marchesi, Economia e politica economica del diritto, Bologna, il Mulino, 2006; Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, Laterza, 2009).

La disciplina del trasferimento d’azienda (art. 2112 c.c.) è al centro, da lungo periodo, di un annoso dibattito, accentuato, invero, dallo stratificarsi incessante di novelle e contrasti interpretativi, sia in sede giurisprudenziale, sia in sede dottrinale. La ragione è ormai ampiamente segnalata e analizzata, e attiene alla centralità dell’argomento rispetto alle evoluzioni dei modelli organizzativi della produzione: in particolare, al progressivo affermarsi di tecniche di segmentazione dell’impresa, in un’ottica di ottimale allocazione delle risorse, in un’ottica di ottimo paretiano.

La disciplina del trasferimento d’azienda è, pertanto, stata al centro di letture ermeneutiche spesso non prevedibili: la disciplina de qua , in via elastica,  ha permesso all’autonomia privata di cui all’art. 1322 c.c. – nei limiti della meritevolezza – di raggiungere nuovi equilibri tra i più complessi o sfaccettati interessi chiamati in campo da fenomeni come le esternalizzazioni, le tecniche di terziarizzazione interna dei servizi, di articolazione contrattuale tra più soggetti imprenditoriali del processo produttivo. La ratio è sempre la medesima: un efficientamento e una ottimale redistribuzione della ricchezza, in un’ottica di razionalizzazione dei costi dell’impresa.

Il rapporto col diritto euro-unitario rivela, in questi argomenti, difficoltà metodologiche di non poco impegno. Se infatti è vero che i contenuti della direttiva 2001/23/CE e le pronunce della Corte di Lussemburgo rappresentano un punto di riferimento continuo per l’interpretazione del diritto interno, questa si svolge su un piano differente da quello tipico del diritto europeo, che è un diritto non dogmatico, funzionale, orientato alla realizzazione di obiettivi: l’interpretazione della disciplina interna va quindi svolta realizzando nei limiti del possibile la coerenza con gli obblighi derivanti dal diritto europeo, ma senza abbandonare il piano della corretta ricostruzione dogmatica e sistematica, nel nostro ordinamento, dei singoli istituti giuridici, regola che non sempre appare rispettata.

Anche il confronto con l’intervento del legislatore pone talvolta difficoltà nuove. Ciò avviene, ad esempio, nei casi in cui la legge opera la trasposizione nell’ordinamento interno di nozioni del diritto di matrice euro-unitaria, tralasciando di darne adeguato, sistematico e coerente sviluppo in rapporto a regole e strumenti della specifica tradizione giuridica nazionale (Cfr. Bavaro, Il trasferimento d’azienda, in Curzio (a cura di), Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, La “Legge Biagi” e le norme di attuazione, Bari, 2004; Santoro Passarelli, La disciplina del rapporto di lavoro nel trasferimento di azienda: evoluzione e prospettive, in DL, 2003, 763; Flammia, Le modificazioni della disciplina del trasferimento d’azienda alla luce del D.Lgs. n. 276 del 2003, in ADL, 2004, 2, 489. Cfr., in particolare, Del Punta, Diritto del lavoro, Giuffré Francis Lefebvre, 2020).

Se nell’ambito della modifica soggettiva dal lato del datore di lavoro la prima e fondamentale tutela per i lavoratori trasferiti consiste nella continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario, l’ulteriore strumento utilizzato dal legislatore in funzione di garanzia della posizione creditoria è rappresentato, come noto, dalla particolare ipotesi di responsabilità solidale prevista dal secondo comma della norma in commento. Pertanto, è possibile ritenere come il disposto di cui all’art. 2112 c.c., invero, contenga una disciplina corollario di una ratio di protezione, a favore del lavoratore.

A quadro normativo immutato sul punto, sembra inopportuno ripercorrere interamente il dibattito che ha animato la dottrina a seguito della scomparsa di ogni criterio limitativo della responsabilità del cessionario, rappresentato dalla “conoscenza o dalla conoscibilità” del credito di cui lavoratore ceduto fosse titolare al momento del trasferimento, piuttosto che dall’espresso riferimento ai crediti che “trovano causa nella disdetta data dall’alienante.

A fondamento della censura con cui lamentava la violazione dell’art. 2112 c. c., la ricorrente rilevava che nel caso di specie la retrocessione del ramo di azienda, già affittato ad una Srl ( precedente datore di lavoro della ricorrente), in capo alla società proprietaria della stessa azienda, e cioè la P.P.L. Srl, società affittante, era avvenuta in data 6 febbraio 2014 e quindi ben prima del licenziamento della lavoratrice intimato soltanto in data 15 febbraio 2014.

Dunque, secondo tale ricostruzione, la norma decadenziale non poteva essere quindi applicata per l’effetto prevalente inderogabile del principio di legge ex articolo 2112 c.c. in base al quale tutti i rapporti di lavoro afferenti all’azienda ceduta si trasferiscono automaticamente per effetto legale inderogabile in capo la nuova subentrante, fermo restando la facoltà per il cedente di intimare il recesso secondo la normativa in materia di licenziamenti.

Tra i contributi in tema di obbligazioni solidali e trasferimento d’azienda, si possono ricordare, senza alcuna pretesa di completezza: Branca, Obbligazioni solidali, correali, collettive, in RDC, 1957, I, 150; Busnelli, L’obbligazione soggettivamente complessa (Profili sistematici), Milano, 1974; Busnelli, voce Obbligazioni soggettivamente complesse, in ED, 1979, vol. XXIX; Busnelli, voce Obbligazioni divisibili, indivisibili e solidali, in EGT, 1990, vol. XXI; De Acutis, Solidarietà ed “eadem causa obligandi” in presenza di diverse fonti contrattuali di responsabilità, in RDC, 1976, II, 360; De Cristofaro, Sulla contitolarità del rapporto obbigatorio, in RDC, 1969, II, 295; De Ferra, Sulla contitolarità del rapporto obbigatorio, Milano, 1967; Di Majo, voce Obbligazioni solidali (e indivisibili), in ED, 1979, vol. XXIX; Frasson, Le obbligazioni in solido, in RDC, 1976, II, 131; Giorgianni, Obbligazione solidale e parziaria, in NDI, 1965, 674; A. Matteucci, Solidarietà del fideiussore e suo debito non pecuniario, in RTDPC, 1959, 1298;. Mazzoni, Le obbligazioni solidali e indivisibili, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, IX, Torino, 1984; Rubino, Obbligazioni alternative, in solido, divisibili e indivisibili, in CommSB, 1961.

Precipuamente, è proprio questo il tema che pone l’ordinanza in commento.

La domanda del lavoratore in tali casi è intesa soltanto a far valere l’effettività del passaggio ex lege del rapporto di lavoro; ad avvalersi cioè degli effetti ex lege della cessione e non ad impugnare un licenziamento che per essere intervenuto dopo il passaggio è inidoneo ad inficiare gli effetti legali derivanti dal passaggio ed a determinare alcuna estinzione del rapporto; anche per difetto di legittimazione sostanziale e di titolarità del rapporto in capo al cedente.

Il rispetto della normativa sui licenziamenti individuali, ivi compreso l’onere del rispetto della impugnazione, deve ritenersi richiamato dall’art. 2112, 4° comma solo per i casi di possibile recesso da parte del cedente intervenuto prima che l’effetto di continuità garantito dal 1°comma dell’art. 2112 c.c. possa esprimere i suoi effetti (vedasi ancora Del Punta, Diritto del lavoro, Giuffré Francis Lefebvre, 2020; vedasi anche Cass., 26 gennaio 2024, n. 2526 con nota di Marsico, Profili ricostruttivi in tema di simulazione di cessione d’azienda, collegamento economico – funzionale tra imprese, presunzione di solidarietà dei crediti e tutela reale, in Labor.it, 30 aprile 2024).

Sul piano ricostruttivo, i giudici di appello hanno affermato che non fosse neppure rilevante stabilire in fatto quando sarebbe stato intimato realmente il licenziamento; essa si è posta, quindi, in netto contrasto con la giurisprudenza consolidata per l’ipotesi in cui il licenziamento viene intimato dopo il passaggio del lavoratore a seguito di trasferimento d’azienda.

Il pregio della pronuncia in commento è quello di fare il punto con riguardo alla disciplina precedente alla legge n. 183/2010.

Sulla scorta di un granitico orientamento di legittimità, si afferma che “ai sensi dell’art. 2112 cod. civ. (nel testo vigente prima dell’entrata in vigore dell’art. 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428), qualora il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore la disdetta “in tempo utile” – e cioè nel termine previsto da altre disposizioni, eventualmente anche di carattere pattizio – si realizza una ipotesi di licenziamento soggetto alla disciplina di cui alle leggi 15 luglio 1966 n. 604 e 20 maggio 1970 n. 300, licenziamento che, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 604 del 1966 deve essere fondato su un giustificato motivo (quale può essere quello dell’impossibilità di alienare l’azienda senza licenziare tutti o una parte dei dipendenti) e che deve essere impugnato ai sensi dell’art. 6 della legge da ultimo citata.

Nel caso in cui la disdetta sia stata intimata senza rispettare il termine suddetto, si realizza invece una prosecuzione automatica del rapporto di lavoro, con successione dell’acquirente dell’azienda all’alienante nella posizione di datore di lavoro; in tale ipotesi, non trovando applicazione la citata normativa sui licenziamenti individuali, non sussiste alcun onere di impugnazione a carico del lavoratore il quale può, in caso di contestazione, ottenere dal giudice, previa disapplicazione dell’atto di disdetta invalido, la declaratoria del proprio diritto alla permanenza nel posto di lavoro e l’eventuale condanna del datore di lavoro acquirente al pagamento delle retribuzioni non corrisposte (ferma restando, a norma del secondo comma dell’art. 2112 cod. civ., l’obbligazione solidale dell’alienante per i crediti maturati in favore del prestatore di lavoro, tra cui anche le retribuzioni non pagate, fino al momento del trasferimento).”

Secondo i giudici, deve, quindi, riaffermarsi che la disciplina della decadenza ex art. 32, comma 4, L. n. 183/10 si applica in caso di cessione di azienda solo quando venga impugnata la cessione ex art. 2112 c.c., oppure quando si impugni il licenziamento intimato prima della cessione, ed ovviamente quando si impugni il licenziamento intimato dal cessionario dopo la cessione. Non viene in rilievo la disciplina dei licenziamenti quando il lavoratore chieda che si accerti la continuità del rapporto alle dipendenze del cessionario.

La Corte d’appello ha infatti escluso, erroneamente, la solidarietà ex articolo 2112 cc per il solo fatto che fosse “definitivamente cessato il rapporto di lavoro, in ragione della incontestabilità del licenziamento e perciò esclusa la successione delle appellate nel rapporto di lavoro de quo per effetto della previsione imperativa dell’articolo 2112 cc neppure può farsi questioni della responsabilità solidale di dette appellate per i crediti maturati dalla lavoratrice alla data del trasferimento di azienda sulla base del disposto della norma appena richiamata”.

In conclusione, i giudici di legittimità ribadiscono che, nell’ipotesi in cui il licenziamento sia stato intimato dopo il passaggio di azienda ex art 2112 c.c. alle dipendenze del cessionario (o retrocessionario affittante) non si applica la disciplina della decadenza per tutti i motivi già detti, essendo il lavoratore già passato ope legis alle dipendenze del cessionario; con tutto quello che ne consegue anche sulla esistenza della solidarietà tra cedente e cessionario ai fini del pagamento dei debiti, ancorché maturati in precedenza.

Pertanto, l’accentuazione del nesso tra rapporti di lavoro e azienda (Maresca, Le “novità” del legislatore nazionale in materia di trasferimento d’azienda, in ADL., 2001, p. 588) che l’orientamento dominante ha fortemente promosso per legittimare le operazioni di scorporo ed esternalizzazione (tale per cui il contratto si lega necessariamente e quasi oggettivamente all’azienda, annullando la dimensione soggettiva dell’autonomia nel rapporto con il titolare della medesima) dovrebbe per coerenza avvalorare la tesi che nell’azienda riconosce la principale garanzia patrimoniale dei crediti del lavoratore, perciò destinata a permanere anche dopo la cessione a prescindere dalla vitalità del rapporto al momento della stessa.

La Corte di Cassazione rileva che la disciplina posta dal comma 2 dell’art. 2112 c.c., che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal dipendente al momento del trasferimento d’azienda a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, presuppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d’azienda (Santoro Passarelli, Il rapporto di lavoro nel trasferimento d’impresa e di articolazione funzionalmente autonoma, Torino, 2014; Pessi, Lezioni di diritto del lavoro, Torino, 2014; Luciani, Trasferimento d’azienda e tutela dei lavoratori nell’evoluzione dell’art. 2112 c.c., in De Luca Tamajo – Rusciano – Zoppoli (a cura di), Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema, Napoli, 2004).

La giurisprudenza, per far fronte all’evolversi della realtà, ha cercato soluzioni che lasciassero i lavoratori indenni dagli effetti negativi provenienti dall’outsourcing, per cercare di scongiurare il rischio che le loro condizioni economiche e normative potessero subire dei peggioramenti e per evitare, soprattutto, che i lavoratori potessero essere licenziati tramite una procedura individuale o collettiva.

È ancora più difficile ricercare una tutela efficace per i lavoratori nei casi in cui parti dell’azienda o di attività siano spostati presso aziende estere, comunitarie e no, in luoghi dove la giurisdizione italiana non è più valida. L’abbandono del modello di un’impresa collocata in un unico luogo, dotata di un edificio e basata su un’organizzazione gerarchica (Del Punta, Le nuove regole dell’outsourcing, in AA. VV., Studi in onore di Giorgio Ghezzi. Volume I, Padova, 2005), conosciuta come modello dell’impresa fordista, ha comportato la dislocazione del ciclo produttivo, in luoghi e presso imprenditori diversi.

L’attenzione si sposta, quindi, dalle scelte organizzative poste in essere dal singolo imprenditore, in coerenza all’art. 2104 c.c., alle relazioni che uniscono più imprese allo scopo di ampliare la loro organizzazione e aumentare la produttività, nel modo più conveniente possibile per gli imprenditori, soprattutto in termini di risparmio di costi. Il mercato, inteso come relazioni intercorrenti tra le industrie, va a sovrapporsi al metodo gerarchico, che pone l’imprenditore in posizione di vertice rispetto ai suoi lavoratori (Maione, Natura e contenuto dell’obbligazione solidale, cit., 96 ss.; Guaglione, La disciplina degli appalti “introaziendali” e il contenuto dell’obbligazione solidale, in Mazzotta (a cura di), Nuove tecnologie e rapporti fra imprese, Milano, 1990, 142 ss.; per una lettura della norma all’interno del decentramento produttivo v. Mariucci, Il lavoro decentrato. Discipline legislative e contrattuali, Milano, 1979, 181 ss.).

La giurisprudenza maggioritaria, come rilevato nell’ordinanza in analisi, tuttavia, valorizza, nel bilanciamento degli interessi coinvolti, quello eminente del cessionario rispetto a quello dei lavoratori, in talune peculiari circostanze oggettive e temporali: si prevede che la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal dipendente al momento del trasferimento d’azienda (Grandi, Le modificazioni del rapporto di lavoro. I. Le modificazioni soggettive, Milano, 1972, 366;  Magrini, La sostituzione soggettiva nel rapporto di lavoro, Milano, 1980, 205 ss.; Romei, Il rapporto di lavoro nel trasferimento d’azienda, Milano, 1993, 175 ss.), a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, presuppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d’azienda; è fatta salva – in un’ottica di valorizzazione della certezza dei traffici giuridici – l’applicabilità del disposto di cui all’art. 2560 c.c.

In tema di cessione d’azienda, l’acquirente risponde dei debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta soltanto se essi risultino dai libri contabili: la citata disposizione è funzionale non solo dall’esigenza di tutelare i terzi creditori, già contraenti con l’impresa, ma anche da quella di consentire al cessionario di acquisire adeguata e specifica cognizione dei debiti assunti.
La ratio della norma, in particolare del suo secondo comma, viene generalmente individuata nell’esigenza di tutelare il terzo creditore, di fronte ad un fatto, e cioè il trasferimento dell’azienda, che priva l’originario debitore di quella che normalmente costituisce la componente principale del suo patrimonio.

Sotto il profilo processuale, sempre a tutela delle posizioni giuridiche soggettive sopra descritte, si rileva che la disdetta intimata ai sensi del primo comma dell’art. 2112 cod. civ. nei confronti dei lavoratori che prestavano la loro opera alle dipendenze dell’alienante, in caso di cessione di azienda, non si sottrae al regime di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970, sulla giustificatezza del licenziamento, e per tale ragione sussiste l’onere della tempestiva impugnazione del licenziamento intimato in tempo utile rispetto alla cessione dell’azienda, mentre quest’onere viene meno allorché la disdetta non sia tempestiva poiché, in tal caso, è la norma stessa che stabilisce il principio della successione necessaria e incondizionata nel contratto di lavoro.

Giuseppe Maria Marsico, dottorando di ricerca in diritto privato e dell’economia e funzionario giuridico-economico-finanziario

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 5 febbraio 2024, n. 3235

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