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Ai fini del riconoscimento della qualifica di coltivatore diretto, anche per il familiare occorre la dimostrazione della prevalenza dell’attività

26 Maggio 2024|

Secondo il costante orientamento di legittimità (v., ex multis, Cass. n. 15869/2017; Cass. n. 9208/2003; Cass., S.U., n.  616/1999), ai fini dell’applicabilità dell’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, la qualità di coltivatore diretto –in relazione alla quale è assente nell’ordinamento una nozione generale applicabile ad ogni fine di legge- deve essere desunta dal combinato disposto degli artt. 2 della legge n. 1047/1957 e 2, 3 della legge n. 9/1963, e pertanto per il suo riconoscimento è necessario e sufficiente il concorso dei seguenti requisiti: a) diretta, abituale e manuale coltivazione dei fondi, o diretto ed abituale governo del bestiame, sussistenti allorché l’interessato si dedichi in modo esclusivo a tali attività, o anche in modo soltanto prevalente, cioè tale che le stesse lo impegnino per la maggior parte dell’anno e costituiscano per lui la maggior fonte di reddito; b) prestazione lavorativa del nucleo familiare non inferiore ad un terzo di quella occorrente per le normali necessità delle coltivazioni del fondo e per l’allevamento e il governo del bestiame, nonché fabbisogno di manodopera non inferiore a centoquattro giornate lavorative annue.

Non è, pertanto, richiesto il carattere imprenditoriale dell’attività, con la destinazione, anche parziale, dei prodotti del fondo al mercato, essendo sufficiente che gli stessi siano destinati al sostentamento del coltivatore e della sua famiglia, né è prescritto che il coltivatore abbia personalmente prestato centoquattro giornate lavorative annue, riferendosi tale limite al fabbisogno del fondo e non all’attività del singolo.

Con l’ordinanza n. 3973 del 13 febbraio 2024, qui segnalata, la Suprema corte è tornata nuovamente sull’argomento, affrontando una fattispecie nella quale la Corte d’appello di Catanzaro aveva confermava la pronuncia di prime cure che, a sua volta, aveva respinto una domanda tesa all’accertamento della qualifica di coltivatore diretto per un (risalente) periodo durante il quale l’interessato aveva lavorato con il padre, a sua volta coltivatore diretto.

Da qui il ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, il primo ritenuto infondato, i rimanenti inammissibili.

Il cuore del ricorso, affidato al primo motivo di diritto, ruotava sulla considerazione che i requisiti prescritti per il riconoscimento della qualifica di coltivatore diretto non dovrebbero essere accertati nei confronti del figlio, appartenente al nucleo familiare, rispetto al quale sarebbe di per sé sufficiente la prova della sua attività lavorativa manuale prestata entro detto nucleo.

Ad avviso dell’ordinanza in commento, ex adverso, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 1047/1957, il requisito della abitualità dell’attività manuale nella coltivazione dei terreni o nell’allevamento del bestiame è da riferirsi anche ai familiari del coltivatore diretto.

Detta norma richiede infatti che questi svolgano “le medesime attività” del coltivatore diretto, ovvero l’abituale e manuale coltivazione dei fondi o allevamento del bestiame.

Conferma in tal senso si trae dall’art. 2, co. 2, della legge n. 9/1963, riferito ai soggetti di cui all’art. 2 della legge n. 1047/1957, tra i quali sono riportati i familiari del coltivatore diretto.

Più nello specifico, infatti, il richiamato art. 2 precisa che tali soggetti, ai fini dell’abitualità, devono dedicarsi in modo quanto meno prevalente all’attività manuale di lavoro nella coltivazione.

Va quindi da sé che anche per il familiare accorre la dimostrazione della prevalenza dell’attività, ovvero che essa lo impegni per il maggior periodo di tempo nell’anno e che costituisca la maggior fonte di reddito.

Diversamente da quanto ritenuto nel ricorso, anche il requisito della forza lavoro (non inferiore a 1/3 di quella necessaria per la coltivazione del fondo), previsto sempre dal richiamato art. 2 della legge del 1963, non può essere riferito al solo coltivatore diretto titolare dell’impresa, all’interno di una valutazione disgiunta da quella del familiare.

A ben vedere, la norma di che trattasi ha infatti riguardo espresso non alla prestazione lavorativa del coltivatore diretto, ma a quella del “nucleo familiare”, con ciò volendo significare che l’appartenente al nucleo familiare del coltivatore diretto, il quale chiede l’affermazione anche nei suoi riguardi della qualifica, deve allegare e provare che la forza lavoro dell’intero nucleo non sia inferiore a 1/3 di quella necessaria.

Non può pertanto trovare accoglimento alcuno la tesi (sostenuta in ricorso) secondo la quale l’accertamento in esame andrebbe limitato al solo fatto che il familiare abbia svolto attività lavorativa manuale, senz’altra specificazione, nell’ambito del nucleo familiare.

Luigi Pelliccia, avvocato in Siena e professore a contratto di diritto della sicurezza sociale nell’Università degli Studi di Siena

Visualizza il documento: Cass., ordinanza 13 febbraio 2024, n. 3973

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