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La giusta retribuzione e la corretta applicazione di contratto collettivo secondo il Tribunale di Napoli in un giudizio di opposizione ad atti esecutivi emessi a seguito di diffida accertativa per crediti patrimoniali

9 Agosto 2024|

Premessa

Com’è noto, con l’art. 12 del d.lgs. n. 124/2004 al personale ispettivo delle Direzioni del lavoro (ora Ispettorati del lavoro) è stato riconosciuto il potere di emettere provvedimenti di diffida che potranno essere esercitati “valutate le circostanze del caso, secondo un prudente apprezzamento dei risultati dell’indagine e degli elementi obiettivi acquisiti.” (v. Circ. Ministero del lavoro n. 24/2004).

Più precisamente detta norma, nel disciplinare l’istituto della diffida accertativa per crediti patrimoniali, dispone: “1. Qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti. 2. Entro trenta giorni dalla notifica della diffida accertativa, il datore di lavoro può promuovere tentativo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro. In caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia e, per il verbale medesimo, non trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile. 3. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 2 o in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, attestato da apposito verbale, il provvedimento di diffida di cui al comma 1 acquista, con provvedimento del direttore della Direzione provinciale del lavoro, valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo. 4. Nei confronti del provvedimento di diffida di cui al comma 3 è ammesso ricorso davanti al Comitato regionale per i rapporti di lavoro di cui all’articolo 17, integrato con un rappresentante dei datori di lavoro ed un rappresentante dei lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. In mancanza della designazione entro trenta giorni dalla richiesta di nomina, il Comitato decide il ricorso nella sua composizione ordinaria. I ricorsi vanno inoltrati alla direzione regionale del lavoro e sono decisi, con provvedimento motivato, dal Comitato nel termine di novanta giorni dal ricevimento, sulla base della documentazione prodotta dal ricorrente e di quella in possesso dell’Amministrazione. Decorso inutilmente il termine previsto per la decisione il ricorso si intende respinto. Il ricorso sospende l’esecutività della diffida”.

L’Ispettore del lavoro, quindi, a seguito dell’acquisizione di elementi obiettivi certi e idonei alla determinazione del calcolo delle spettanze patrimoniali, può emettere una diffida in tutte le ipotesi in cui l’accertamento si fondi su presupposti oggettivi e predeterminati che non richiedano complessi approfondimenti in ordine alla verifica dell’effettivo raggiungimento o meno dei risultati dell’attività.

La norma di che trattasi non reca a ben vedere alcun riferimento agli strumenti di tutela giurisdizionale del datore di lavoro ma, nel rispetto dell’art. 24 Cost., deve consentirsi a questi, in presenza di un titolo esecutivo formatosi stragiudizialmente e senza la sua partecipazione, di far valere le proprie ragioni attraverso lo strumento dell’’opposizione all’esecuzione ovvero al decreto ingiuntivo emesso sulla base della diffida accertativa, possibilità a suo contemplata nella circolare ministeriale n. 1/2013.

Allo stato è il codice di procedura medesimo che prevede la possibilità per un lavoratore di potere agire esecutivamente mediante apposito atto di precetto per soddisfare i propri crediti retributivi e di fondare le proprie pretese su un provvedimento amministrativo avente natura di titolo immediatamente esecutivo.

L’art. 474 c.p.c. rubricato “titolo esecutivo” recita testualmente, infatti, che: “l’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo liquido ed esigibile.

Sono titoli esecutivi:

  1. le sentenze e i provvedimenti ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia;
  2. le cambiali, nonché gli altri titoli di credito e gli atti ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia;
  3. gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenuti”.

L’articolo in esame distingue quindi all’evidenza due gruppi di titoli esecutivi: a) quelli di formazione giudiziale del titolo; b) quelli di formazione extragiudiziale (nei quali l’accertamento del diritto da eseguire è venuto a formarsi per una via diversa da quella giudiziale).

Con una interessante sentenza, la n. 1751/2024 del 07.03.2024 (per la quale non si conosce se sia stato o meno proposto appello), il Giudice del lavoro del Tribunale di Napoli, nel decidere su un ricorso in opposizione all’esecuzione ex artt. 615, co. 1, e 618-bis cpc, ha affrontato una fattispecie nata da una diffida accertativa per crediti patrimoniali, andando ad analizzare si sottesi emersi riflessi in tema di giusta retribuzione ex art. 36 Cost. e di (corretta) applicazione del ccnl.

La fattispecie dedotta in giudizio

Una società presentava ricorso in opposizione alla diffida accertativa alla medesima notificata dalla Itl di Perugia in data 03.03.2021 con la quale era stato intimato di pagare delle somme a favore di un lavoratore, chiedendo che venisse accertata e dichiarata la nullità e/o l’inefficacia sia del precedentemente notificato atto di precetto, sia della sottostante diffida accertativa esecutiva e del relativo verbale di accertamento e, conseguentemente, di accertare anche l’inesistenza del diritto del lavoratore interessato a procedere ad esecuzione forzata.

A sostegno della richiesta la società opponente dichiarava:

– di applicare ai propri dipendenti il ccnl Intersettoriale Commercio, terziario, Distribuzione, Servizi, Pubblici Esercizi e Turismo (Conflavoro-Confsal) oltre a un accordo di prossimità;

– che detto ccnl era uno dei contratti collettivi di categoria comparativamente più rappresentativi, in quanto stipulato da organizzazioni sindacali dotate di tale rappresentatività, stante il loro comprovato impegno sindacale profuso su tutto il territorio nazionale (essendo tra l’altro la CONFSAL una delle Confederazioni Sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale);

– che era da ritenere incostituzionale l’art. 12 del d.lgs. n. 124/2004, per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., anche per eccesso di delega.

Nel costituirsi in giudizio il lavoratore opposto (nella posizione però di parte attrice relativamente alla pretesa portata avanti sulla base della diffida accertativa in questa sede impugnata) eccepiva la litispendenza, continenza e connessione, chiedendo la sospensione del giudizio in quanto per una analoga questione (applicazione del ccnl comparativamente più ) era già pendente un giudizio innanzi al Tribunale di Perugia.

La sentenza in commento ha ritenuto infondato il proposto ricorso in opposizione, così rigettandolo.

Nella corposa decisione il Tribunale di Napoli affronta diverse tematiche che, seppur in sintesi, si ritiene utile richiamare in questa sede.

Sulla competenza per territorio

Il Tribunale di Napoli afferma di essere competente per territorio muovendo dal fatto che l’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi in materia lavoristica è disciplinata dall’art. 618-bis c.p.c. il quale richiama espressamente le norme previste per le controversie di lavoro e, quindi, anche l’art. 413 cpc che regola la competenza territoriale (cfr. anche Cass. n. 20891/2009). Tra i fori alternativi previsti dall’art. 413 cpc vi è anche la sede dell’azienda che è a Napoli.

Del resto (cfr. Cass. n. 15099/2016) per costante giurisprudenza di legittimità nell’opposizione all’esecuzione non ancora iniziata (come nel caso di specie) la competenza per territorio in materia di previdenza e assistenza obbligatoria è disciplinata dall’art. 444 c.p.c., in quanto l’art. 618-bis, co. 1, cpc rinvia alle norme previste per le controversie individuali di lavoro, e non prevede una riserva di competenza del giudice dell’esecuzione, come invece dispone il medesimo art. 618-bis, co. 2 per l’opposizione all’esecuzione già iniziata o agli atti esecutivi.

Sulla regolarità del precetto e del titolo esecutivo

L’art. 479, co. 1, cpc dispone che l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e del precetto, salvo che la legge non disponga altrimenti così rinviando alla disposizione contenuta nell’art. 475 cpc, norma che disciplina la spedizione in forma esecutiva, riferendola alle “sentenze e agli altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale….. salvo che la legge disponga altrimenti”.

Nella sentenza in commento si legge anche che, secondo orientamento costante della giurisprudenza “la validazione della diffida accertativa effettuata dal direttore della Direzione Territoriale del Lavoro attribuisce al provvedimento valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo. Lo stesso provvedimento, quale titolo esecutivo, viene notificato al datore di lavoro da parte della stessa Amministrazione che lo ha validato, con conseguente rigetto da parte del Tribunale competente della richiesta di apposizione della formula esecutiva sulle copie conformi, non sussistendo la necessità che il lavoratore notifichi una seconda volta al datore di lavoro la diffida accertativa” (cfr. Trib. Frosinone, Sez. Lav., 02.08.2017, Est. Sordi).

Alla luce delle citate disposizioni normative (da interpretare in chiave logico e sistematica) il mancato esperimento del tentativo di conciliazione e/o l’omissione del ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro e/o il rigetto dello stesso, non impediscono l’esercizio dell’azione in sede giurisdizionale; del resto, alla luce del dato normativo, gli unici effetti che derivano dall’inutile decorso del tempo sono, da un lato, quello di consentire al lavoratore interessato di munirsi di un titolo avente efficacia esecutiva, dall’altro, quello di rendere inoperante la sospensione dell’esecutività della diffida (prevista soltanto in caso di proposizione del ricorso amministrativo.

Parliamo quindi di un provvedimento (la diffida accertativa, appunto) di formazione stragiudiziale che, in quanto tale, non è suscettibile di acquisire autorità ed efficacia di cosa giudicata.

Nella fattispecie che ci occupa, ad avviso del Tribunale di Napoli l’Ispettorato del lavoro di Perugia non sembra essere incorso in alcuna violazione di legge, il cui ragionamento logico-giuridico appare corretto.

Sulla sufficienza della retribuzione (la sentenza n. 3713/2023 della Corte di Cassazione)

Nel suo percorso logico-giuridico la decisione in commento richiama la sentenza n. 3713/2023 della Corte di Cassazione sul “salario minimo”, nella quale, com’è noto, si fa specifico riferimento al cd. salario costituzionale ovvero al salario che appare pienamente rispettoso dei principi posti dall’art. 36 Cost., ossia il diritto soggettivo perfetto a ricevere una retribuzione proporzionata e sufficiente a garantire – come afferma la Costituzione – all’individuo una esistenza libera e dignitosa.

Come è stato affermato in detta sentenza, l’art. 36 si appalesa quindi come una norma precettiva di immediata e diretta applicazione nel nostro ordinamento giuridico con un limite positivo ed uno negativo: il primo fa riferimento al diritto alla percezione di una retribuzione proporzionata tale da garantire “una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e alla qualità dell’attività prestata”; quello negativo (invalicabile in assoluto) fa riferimento al diritto di ogni lavoratore a percepire una retribuzione sufficiente “non inferiore agli standards minimi necessari per vivere una vita a misura d’uomo” ovvero “ad una ricompensa complessiva che non ricada sotto il livello minimo, ritenuti, in un determinato momento storico e nelle concrete condizioni di vita esistenti, necessario ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

La vita di un lavoratore, come afferma specificamente la Costituzione, non solo non deve essere povera, ma deve essere libera e dignitosa e la Corte di Cassazione, nell’affermare e ribadire tali principi fa un’importante precisazione, affermando che anche allorquando un livello salariale è concordato ed è sottoscritto dalle associazioni datoriali e dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, non è detto che (per ciò solo) esso risponda ai canoni costituzionali di un salario giusto.

Da qui appaiono quindi del tutto fondate le doglianze manifestate dal lavoratore opposto, atteso appunto che, nell’opera di verifica della retribuzione minima adeguata ex art. 36 Cost. il giudice, nell’ambito dei propri poteri ex art. 2099, co. 2, cod. civ., può fare altresì riferimento, all’occorrenza, ad indicatori economici e statistici, anche secondo quanto suggerito dalla direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022.

Conclusioni

L’opposizione della società si basava sull’assunto che la diffida accertativa emessa per la posizione del lavoratore opposto sarebbe illegittima in quanto fondata su crediti che non rientrano nella disciplina di cui all’art. 12, co. 3, del d.lgs. n. 124/2004 e dunque non soggetti ad accertamento da parte dell’Ispettorato del lavoro.

La sentenza in commento ritiene però detta considerazione priva di fondamento, atteso il fatto che la normativa in esame prevede che, qualora il personale ispettivo dell’INL abbia la prova che, per inosservanze del regolamento contrattuale, il lavoratore vanti un credito patrimoniale, possa diffidare il datore di lavoro a corrispondere a questi gli importi risultanti dagli accertamenti.

Come a suo tempo chiarito dal Ministero del lavoro con la circolare n. 1/2013, può formare oggetto del provvedimento di diffida accertativa qualsiasi istituto economico contrattualmente pattuito fra le parti e derivante dalla costanza del rapporto di lavoro o dalla cessazione dello stesso e che abbia natura retributiva, indennitaria, forfettaria o premiale, quali:

1) i crediti retributivi da omesso pagamento, dove la violazione è costituita soltanto da un ritardo nell’adempimento per cui la somma è già liquida o liquidabile con un semplice calcolo matematico;

2) i crediti di tipo indennitario, da maggiorazioni, tfr;

3) le retribuzioni di risultato, premi di produzione, categoria rappresentata da quei crediti connessi ad elementi pecuniari legati a scelte del datore di lavoro (premi di risultato, premi di produzione);

4) i crediti retributivi derivanti da un non corretto inquadramento della tipologia contrattuale;

5) i crediti legati al demansionamento, ovvero alla mancata applicazione di livelli minimi retributivi.

In altre parole, la disposizione preclude, quindi, il ricorso a questo tipo di strumento ove si pongano questioni inerenti (cfr. Trib. di Napoli, sent. n. 2618/2022) a qualificazione del rapporto di lavoro, ossia quando si renda necessario accertare la natura della relazione lavorativa, sulla base di apprezzamenti di fatto connotati da discrezionalità, giacché una siffatta verifica implica attività istruttorie complesse e interpretative, rimesse dall’ordinamento giuridico alla autorità giudiziaria, con tutte le garanzie del processo.

Da qui, in conclusione, il rigetto della proposta opposizione, perché infondata.

Luigi Pelliccia, avvocato in Siena e professore a contratto di diritto della sicurezza sociale nell’Università degli Studi di Siena

Visualizza il documento: Trib. Napoli, 7 marzo 2024, n. 1751

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